L’alba del pianeta delle scimmie

RECENSIONE
Titolo originale: Rise of the Planet of the Apes
Regia: Rupert Wyatt
Cast: James Franco, Tom Felton, Freida Pinto, Andy Serkis, Brian Cox, John Lithgow, Tyler Labine, David Hewlett, David Oyelowo
Paese: USA
Genere: Azione, Drammatico, Thriller
Anno: 2011
Durata: 107 minuti
Distribuzione: 20th Century Fox
Uscita: 23/09/2011
7

Con vari sequel e serie TV alle spalle, la nuova versione della storia sulle (nostre?) origini, ambientata al giorno d’oggi a San Francisco e basata su una realtà mixata di scienza e fantascienza, approda ora nuovamente sui nostri schermi.
Visione contemporanea della mitologia de “Il pianeta delle scimmie” (pietra miliare e classico molto amato della cinematografia, interpretato nel 1968 dal grande Charlton Heston) dove, analogamente al suo originale, viene utilizzato il genere della fantascienza per esplorare mondi e idee più ampi, il film di Wyatt si prefigge lo scopo di raccontare – come fosse una sorta di prequel – le origini che portano alla creazione del primo ed acclamato “Pianeta delle scimmie”.
Parlando della nostra civiltà, che raggiunge un punto di non ritorno, la vicenda prende il via dagli esperimenti di ingegneria genetica che fanno sviluppare nelle scimmie un’intelligenza tale da degenerare in una guerra per la supremazia.
Will (il James Franco di “127 ore”, nonché Harry Osbourne nella trilogia “Spider-Man”) è uno scienziato che lavora in un’industria farmaceutica (la Gen-Sys), impegnato in ricerche sulla genetica, volte a sviluppare un virus benigno in grado di ricostituire il tessuto cerebrale danneggiato.
Poco prima che la Gen-Sys dia inizio alla sperimentazione umana del nuovo farmaco, promettente e potenzialmente molto redditizio (l’ALZ-12), le scimmie sulle quali Will sta effettuando i test mostrano all’improvviso un comportamento insolitamente aggressivo. Viene così decretato l’esito negativo della ricerca e il giovane deve interrompere il programma.
Nella confusione conseguente all’interruzione dello studio, Will si ritrova ad accudire uno scimpanzé di pochi giorni, figlio orfano del primate più promettente della sperimentazione, il quale, pure lui esposto al nuovo farmaco mentre si trovava nell’utero materno, dimostra un’intelligenza particolare, comportamenti insoliti per una scimmia della sua età e doti cognitive incredibili.
L’animale, per un eccesso di zelo nei confronti di chi lo ospita, viene allontanato da casa e recluso in una struttura specifica per i suoi simili.
I risultati scientifici del farmaco, nel frattempo, sembrano sufficienti per spingere Will a sottrarre di nascosto alcuni flaconi del potente siero per somministrarli al genitore malato (soffre di demenza, in quanto colpito dall’Alzheimer) e garantirgli una possibilità di vita (anche se, in realtà, i benefici hanno una durata limitata nel tempo).
Tra fughe e scontri vari, epiche battaglie tra uomini e primati, con sequenze a base di esplosioni di auto ed elicotteri, i traguardi raggiunti saranno destinati a far precipitare Will e l’intera razza umana verso un disastro generale.
Lungi dal dare la sensazione di un film basato sugli effetti visivi, ma piuttosto quella di una forte storia emotiva dove l’azione e lo spettacolo si mescolano fluidamente con il dramma, analizzando una delle paure più primitive del genere umano (cosa accadrebbe se il nostro ruolo venisse usurpato dal sopravvento di un’altra specie?), la pellicola funziona e si lascia guardare nonostante le inevitabili pecche (personaggi dalla fisionomia lasciata un po’ in sospeso, situazioni un po’ scontate e pretestuose, esseri umani definiti in maniera piuttosto stereotipata e una “fiamma”, quella di Will, senza un ruolo ben preciso e che appare dovuta tanto per completare il necessario ruolo femminile di contorno).
Salviamo la fotografia, il montaggio ben confezionato e l’azione ottimamente girata, a cui si aggiunge la mimica dello scimpanzé (veramente notevole) dietro il quale “si nasconde” Andy Serkis (che ha dato le movenze ad altri mostri sacri come “King Kong” e il Gollum de “Il signore degli anelli”): essere dalle qualità simili a quelle umane, in grado di ideare strategie, organizzare e guidare una rivoluzione; con anima raziocinante e cuore, estremamente ricettivo nei confronti degli esseri umani e che si interroga sulla sua identità, trovando poi la forza di unire e guidare le altre scimmie (il suo mondo ci viene regalato dalla Weta Digital che, per l’occasione, ha applicato una parte della tecnologia sviluppata nel creare l’universo di “Avatar”, regalandoci delle scimmie molto realistiche ed emotivamente coinvolgenti).
Riflettendo sul valore della vita (umana o animale), sulle esigenze (o meno) del progresso e sulla volontà degli esseri umani nel voler continuare a monopolizzare un pianeta che in fondo sarebbe di tutti, “L’alba del pianeta delle scimmie” si dipana presentando gli umani come esseri capaci di cose grandi (l’arte e la ragione), per poi approdare al lato oscuro della loro (nostra) umanità: oppressione e ostracismo nei confronti di chi e di cosa non comprendiamo, arroganza e presunzione nel pensare che si possa modificare, ingannare o aggirare le leggi della natura senza subirne le conseguenze.
In un viaggio che condurrà tutti quanti (uomini e scimmie) ad un nuovo ordine mondiale ed esplorando uno dei temi più attuali ed importanti, la pellicola solleva l’eterno dubbio: con gli strumenti scientifici e medici che abbiamo a disposizione, fino a dove ci possiamo spingere senza sconvolgere le regole della natura?
Siamo meglio noi o loro nel rispetto del Creato e del Creatore?

Piergiorgio Ravasio

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