Archive for the ‘Recensioni’ Category

To Rome With Love

15 aprile 2012

RECENSIONE

regia: Woody Allen

cast: Woody Allen, Alec Baldwin, Roberto Benigni, Penélope Cruz, Judy Davis, Jesse Eisenberg, Greta Gerwig, Ellen Page

genere: Commedia

paese: USA

anno: 2012

durata: 90′

distribuzione: Medusa

uscita: 20/04/2012

voto: 5 1/2

Con apparizioni di volti più o meno noti dello spettacolo nostrano, dal Giuseppe Pambieri che i fan di Tomas Milian ricorderanno come “Er Tapparella” di Squadra antifurto (1976) al Vinicio Marchioni della serie televisiva Romanzo criminale, passando per Giuliano Gemma, Gianmarco Tognazzi e Donatella Finocchiaro, è sulle note dell’intramontabile Nel blu dipinto di blu che apre la quarantatreesima fatica cinematografica del newyorkese classe 1935 Woody Allen.
Lo stesso Allen impegnato nel film a vestire i panni di un regista di opera in pensione che, giunto a Roma insieme alla moglie Judy Davis per conoscere il fidanzato italiano della figlia Alison Pill, interpretato da Flavio Parenti, rimane sorpreso nel sentire la voce del padre impresario di pompe funebri del ragazzo, con le fattezze del tenore Fabio Armiliato, tanto da cogliere l’occasione per promuovere il suo talento e ridare vigore alla propria carriera.
Perché, come il titolo stesso lascia intuire, è nella capitale tricolore che si svolge il lungometraggio, dove troviamo anche Alec Baldwin nel ruolo di un famoso architetto in vacanza che finisce per diventare spettatore dell’innamoramento tra il Jesse Eisenberg di Benvenuti a Zombieland (2009) e la Ellen Page di Juno (2007), Roberto Benigni che passa in maniera improvvisa e inaspettata dall’essere un comune cittadino borghese al trasformarsi in uno degli uomini più famosi d’Italia, seguìto ovunque dai paparazzi, e Alessandro Tiberi che, per colpa di una serie di incomprensioni e casualità, si vede costretto a spacciare per sua compagna, davanti ai parenti puritani (tra cui il vanziniano Roberto Della Casa e la Simona Caparrini di Immaturi), la escort Penélope Cruz; mentre la vera moglie Alessandra Mastronardi viene corteggiata da una leggendaria star del cinema cui concede anima e corpo Antonio Albanese.
Ma, sebbene il regista-attore, come di consueto, provveda a strappare risate sfoderando le sue tipiche, assurde osservazioni (“Se sei in contatto con Freud, fatti ridare i miei soldi” è già una battuta cult), non pochi sono gli elementi che spingono a storcere il naso dinanzi all’operazione, a partire dalla scelta di far definire dalla voce narrante “cittadino romano” il personaggio interpretato dal succitato toscanaccio autore de La vita e bella (1997).
Protagonista di un segmento surreale, come vuole la tradizione della commedia alleniana, indirizzato a fornire spunti di riflessione relativi al costo della fama e, soprattutto, a ricordare che in un mondo in cui la vita non dà soddisfazioni né a chi è ricco e famoso, né a chi è povero e sconosciuto, a volte è decisamente meglio la prima opzione.
Mentre, sorvolando sul commento musicale degno di una commedia sexy nostrana degli anni Settanta, il tutto, escludendo un pizzico di poesia “buttato” nell’epilogo, rischia non poco di assumere i connotati dell’ennesima, noiosa escursione-gita tra i monumenti della Città eterna messa in atto da un cineasta straniero in trasferta; oltretutto costruita su momenti che, proprio come il pessimo doppiaggio e la struttura generale, sembrano derivati direttamente da un cinepanettone qualsiasi.
Dalla citata circostanza relativa alla Cruz e il bravo Tiberi alla situazione che vede inaspettatamente coinvolto Riccardo Scamarcio – forse in una delle sue migliori prove – con la Mastronardi – sicuramente in una delle sue peggiori prove – e Albanese; per non parlare del rapporto tra Baldwin ed Eisenberg, che tanto ricorda quello tra Christian De Sica ed Emanuele Propizio nel brutto Natale a Beverly Hills (2009).
Che l’autore di Manhattan (1979) e Zelig (1983), durante la sua permanenza nel Bel paese, sia incappato nella visione di alcuni lavori di Neri Parenti & co? Tutto è possibile, ma non è difficile intuire che, dell’annata cinematografica 2011-2012, a rimanere nella memoria dello spettatore, di sicuro, saranno più le riuscite vacanze a Cortina del regista fiorentino che quelle romane, deludenti, dell’Allan Felix di Provaci ancora Sam (1972).

Francesco Lomuscio

The Raven

23 marzo 2012

RECENSIONE
Regia: James McTeigue
Cast:  Luke Evans, John Cusack, Alice Eve, Brendan Gleeson
genere: Thriller
paese: USA, Inghilterra, Spagna
anno: 2012
durata: 111′
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 23/03/2012
voto: 5

L’omicidio brutale di una madre e di sua figlia è l’inizio di una serie di delitti che coinvolgono Edgar Allan Poe. I delitti infatti sembrano assomigliare incredibilmente a una serie di racconti scritti dall’autore, personaggio piuttosto curioso, emarginato e squattrinato. La polizia lo interroga ma un altro omicidio è l’ennesima prova che il killer che deve essere battuto solo con l’aiuto dell’autore indiretto dei delitti: lo stesso Edgar Allan Poe.
Non c’è bisogno di presentare Edgar Allan Poe, icona letteraria del genere giallo/thriller che ha influenzato il romando, il cinema e non solo. The Raven è un’interpretazione di questo personaggio, relazionato ai suoi manoscritti e alla sua vita al limite dell’anonimato. Il regista James McTeigue, che ha regalato ai noi spettatori l’adattamento di V per Vendetta, ha voluto utilizzare l’espediente di Edgar Allan Poe per allestire una serie di delitti, uno più macabro dell’altro, o almeno così cerca di voler essere.
The Raven è un film piuttosto debole proprio dal punto di vista del suo protagonista, che non ha molto da dire. Il film ripropone il genere investigativo in cui lo scrittore/autore diventa detective (una solfa ben nota ormai), un po’ meno dedito all’azione e alle spericolatezze come lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie. Al di là dell’aspetto metaletterario, il film altro non è che una serie di scene in cui omicidi gore e trash cercano di suscitare qualche emozione allo spettatore, che al 100% potrebbe dire “Già visto”.
L’attore John Cusack, nei panni dello scrittore Poe, non trasmette nulla di interessante sia perché la sceneggiatura non brilla certo di una luce accattivante, sia perché l’attore stesso è anonimo in questi panni. Nell’insieme, il film è piuttosto spento che può essere valutato come il solito film dai delitti con l’allestimento scenografico piuttosto complesso ma che seguono sempre le stesse dinamiche di investigazione. Forse è interessante il contesto storico, ma è comunque uno sfondo fiacco in un fiacco film.

Riccardo Rudi

John Carter

23 marzo 2012

RECENSIONE

regia: Andrew Stanton

cast: Taylor Kitsch, Lynn Collins, Mark Strong, Willem Dafoe (voce), Samantha Morton

genere: Fantastico

paese: USA

anno: 2012

durata: 132′

distribuzione: Disney Picture

uscita: 07/03/2012

voto: 8

John Carter è un veterano della guerra di secessione. Durante una rocambolesca fuga dall’esercito americano e dagli indiani si scontra con un misterioso individuo con un dispositivo che lo teletrasporta su Marte, chiamato dalla popolazione locale Barsoom. In passato il pianeta era simile alla Terra ma col passar del tempo è diventato un mondo arido. Su Barsoom John Carter scopre di avere un’incredibile agilità dovuta alla sua forte costituzione forgiata dalla gravità della Terra. Le sue abilità non passano inosservate e verrà coinvolto dagli intrighi politici delle popolazioni del pianeta, che riguardano anche il destino della Terra e del suo ritorno a casa.

Andrew Stanton ha fatto un altro miracolo proponendo questo live action. Conosciuto principalmente come colonna portante della Pixar con gioielli dell’animazione come Toy Story, Monsters & Co, Alla ricerca di Nemo e Wall-E, con John Carter il regista ha oltrepassato l’animazione per raggiungere un altro stadio del suo stile, riportando in auge una saga letteraria di fantascienza che spopolò all’epoca.

Il film è l’adattamento del romanzo Sotto le lune di Marte, primo capitolo della saga di Barsoom scritto negli anni ’10 da Edgar Rice Burroughs. L’importanza di John Carter (libro) è nella storia stessa: all’epoca pioniera di un genere fantascientifico che riguarda il viaggio verso altri mondi civilizzati e che nella nostra contemporaneità è un tema utilizzato e sfruttato.

Unendo i punti fuorisce un film apparentemente semplice all’inizio; ma con lo sviluppo della storia  emerge un’intrigante svolgersi di eventi ed evoluzione dei personaggi, che svelano una caratterizzazione importante e in sintonia con lo stile di Andrew Stanton/Pixar.

In tutta la durata del film lo spettatore “viaggia” letteralmente insieme a John Carter in un mondo sconosciuto, che (con le nostre conoscenze sia scientifiche che fantascientifiche di genere letterario e cinematografico) ai suoi occhi è intrigante. Proprio perché dal punto di vista del contesto fantascientifico lo spettatore è preparato, che il film ha poco da svelare se non un universo ancora più incredibile che stupisce ed emoziona.

Tra musiche di Michael Giacchino (che ha orchestrato le musiche di Lost), acrobazie per aria, complotti politici e interplanetari e un finale che si unisce a un prologo chiudendo un cerchio narrativo in una cura incredibile che John Carter si può considerare un vero gioiello della Disney, dando la possibilità a chi vuole di poter approfondire le avventure del suo protagonista cercando i libri in libreria.

Riccardo Rudi

E ora dove andiamo?

19 marzo 2012

RECENSIONE

regia: Nadine Labaki
cast: Nadine Labaki, Claude Baz Moussawbaa, Layla Hakim, Yvonne Maalouf, Antoinette Noufaily, Petra Saghbini, Ali Haidar, Kevin Abboud, Mostafà Al Sakka, Julien Farhat, Anjo Rihane, Khalil Bou Khalil, Samir Awad, Ziad Abou Absi
genere: Commedia
paese: Francia, Libano, Egitto, Italia
anno: 2011
durata: 100′
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 20/01/2012
voto: 8

Donne. Cristiane o musulmane, unite dalla saggezza della maternità, dalla consapevolezza che è necessario fare qualunque cosa, qualunque, pur di evitare che la guerra arrivi a distruggere una piccola comunità, pur di fermare la spirale di violenza e odio prima che porti allo scontro fisico e armato. Tutto per amore dei figli, dei quali qualunque madre di questa terra vorrebbe scongiurare la morte a qualsiasi prezzo e in qualunque modo. In un piccolo e non meglio specificato villaggio libanese, la comunità islamica e quella cristiana vivono insieme in una pace un po’ precaria retta con spirito sagace dalle donne del villaggio le quali, a prescindere dall’appartenenza religiosa, si muovono compatte per instillare un po’ di buon senso nella testa dei mariti. E quando il buon senso non basta esibiscono una fantasiosa lista di soluzioni alternative ed esilaranti.

E ora dove andiamo? il secondo film di Nadine Labaki (dopo Caramel) è una parabola al femminile che ha i modi della favola e i toni della commedia, ma racconta un dramma antico e sempre attuale come lo scontro di culture e di religioni. Interrogata sull’ispirazione che l’ha portata a girare questo film, la regista e interprete afferma che la maternità le ha dato uno sguardo nuovo attraverso il quale vedere i problemi politici, le guerre, la pace. Da madre, tutto passa attraverso la necessità di proteggere la vita. Ed è appunto con un film pieno di vita che denuncia la stupidità del conflitto: scene rese fulgide dalla calda luce del deserto, coreografie, canti e balletti che ricordano Bollywood (ma dovrebbero richiamare Grease), trovate, personaggi e battute sospese tra una gioiosa ingenuità ed uno scaltro talento narrativo.

Un film colmo di purezza che trascina dal piano realistico a quello fiabesco e viceversa e lascia l’amaro in bocca, ma anche un briciolo di speranza, suggerendo che non contano tanto le differenze, quanto le esperienze drammatiche e non che rendono tutti fragili e umani.

Maria Silvia Sanna

Midnight in Paris

8 dicembre 2011

Midnight in Paris

regia: Woody Allen
cast: Owen Nilson, Michael Sheen, Marion Cotillard, Rachel McAdams, Adrien Brody
genere: Commedia
paese: Usa, Francia
anno: 2011
durata: 94′
distribuzione: Sony Pictures Classics 
uscita: 02/11/2011
voto: 8

Gil è uno sceneggiatore di Hollywood che sta per sposarsi. Da sempre è affascinato dai grandi scrittori, artisti e pittori che lo hanno ispirato; inoltre è innamorato degli anni 20, epoca nostalgica che Gil adora per via delle sue caratteristiche uniche. Il suo lavoro lo vede come una prigione che non lo permette di potersi esprimere pienamente, e in un viaggio con la sua futura moglie a Parigi, Gil si trova a vivere un’esperienza magnifica che gli fa capire realmente quale sia il suo scopo nella vita.

La Parigi secondo Woody Allen è qualcosa di affascinante e irresistibile: la città sembra racchiudere un segreto che può essere svelato solo camminando per le vie parigine di notte o camminando sotto la pioggia. Gil rappresenta il modello perfetto che racchiude questa visione fanciullesca, innocente e romantica di una città che persiste nell’immaginario collettivo come magica e unica.

Interpretato da un inconsueto Owen Wilson, il protagonista principale è il tipico “lavoratore” costretto a dover vivere una vita nella quotidianità e nella routine, soffocato da doveri che limitano il suo spirito artistico. Parigi è l’antidoto dalla malattia che lo affligge, ossia la “contemporaneità”; nella nostra epoca bisogna essere delle macchine perfette, produttori di idee stantie, in cui si vive di cene di convenienza, di amori obbligati e bisogna fare i conti con persone costruite e false.

Midnight in Paris è la seconda esperienza parigina di Woody Allen; aveva girato in Francia alcune sequenze di Tutti dicono I love you. Woody Allen presenta una Parigi inedita, quasi fantascientifica nel segreto che racchiude. Infatti, Gil si trova a vivere le notti parigine in compagnia di personaggi e artisti che ha sempre amato e che non ha mai potuto “ringraziare” dal vivo, che lo aiutano nel suo romanzo e nella ricerca di sé stesso. Nel suo viaggio all’interno di una Parigi “passata”, conosce Adriana, interpretata da Marion Cotillard, una bellissima stilista che lo aiuta a capire cosa vuole realmente da un rapporto d’amore e dalla sua vita.

Il film non è solo un omaggio a Parigi, ma è un omaggio all’arte. Ma ciò che è strabiliante in questo film è la capacità di rendere divertente, ironica e pazzesca la descrizione di essa, senza cadere nel sentimentalismo, nella noia e nella presunzione; Woody Allen ha un bagaglio culturale immenso, che vuole condividere con il pubblico senza arroganza e senza farlo sentire inferiore. Lo spettatore può anche non conoscere Luis Buñuel, ma in rimparerà comunque ad amarlo.

Riccardo Rudi

Tomboy

7 ottobre 2011

RECENSIONE
titolo originale: Tomboy
regia: Céline Sciamma
cast: Zoé Heran, Malonn Lévana, Jeanne Disson, Sophie Cattani, Mathieu Demy, Yohan Ventre, Noah Ventre, Cheyenne Lainé, Cheyenne Lainé, Ryan Bonbeleri
paese: Francia
genere: Drammatico
anno: 2011
durata: 82′
distribuzione: Teodora Film
uscita: 07/10/2011
voto: 7

Chiunque nella vita avrà sognato o avrà dato il meglio di se stesso per realizzare un desiderio, un’aspirazione particolarmente auspicata, un obiettivo che abbiamo avuto molto a cuore. Chi quello del successo in ambito lavorativo, chi quello di sentirsi realizzato in famiglia oppure negli ambiti legati alle proprie passioni e attività.
Quello di Laure, una ragazzina francese di dieci anni, è di vestirsi da maschio, non passare ore davanti allo specchio per truccarsi, giocare a pallone con i ragazzi, indossare capi non proprio femminili e procurarsi un taglio di capelli decisamente mascolino.
“Tomboy” (termine inglese che equivale al “maschiaccio” di casa nostra) porta in sala proprio la vicenda di una ragazzina che, con i suoi sogni e le inevitabili difficoltà, riesce, anche se per un breve lasso di tempo, ad essere felicemente se stessa.
Seconda prova registica di Céline Sciamma, giovane rivelazione del cinema europeo ma dalle origini nostrane (la sua prima pellicola si intitola “Naissance des pieuvres” e risale all’anno 2007), il suo film diviene un caso vero e proprio in Francia; un’accoglienza entusiastica sia da parte della critica che del pubblico; premi e riconoscimenti vari “per la maestria, la sensibilità e la leggerezza, ma anche per la profondità con cui viene trattato il tema dell’identità sessuale nel tempo dell’infanzia”.
Laure con la sorellina Jeanne e genitori al seguito hanno appena terminato l’ennesimo trasloco. Ora si sono trasferiti in un quartiere parigino. Qui la sorella maggiore, quasi per gioco, decide di presentarsi agli amici con il nome di Mickael, proprio come se fosse un maschietto. Nessuno sembra accorgersi di nulla. Tra alcune situazioni divertenti (la scena del bagno al fiume in compagnia di altri ragazzi) e altre decisamente più serie ed impegnative (l’intensa amicizia con Lisa, suggellata da un ingenuo e innocuo bacio), la pellicola, pur con una durata molto contenuta (neanche novanta minuti) ed uno stile asciutto, suscita tenerezza e simpatia, in quanto costruita attorno ad una tematica tanto semplice quanto forte (la storia di un personaggio con un’identità segreta).
Nel gioco al travestimento di un ragazzo mancato, l’infanzia viene presentata come l’età dell’innocenza piena di emozioni; l’adolescenza come la ricerca di una propria identità (non necessariamente solo sessuale). Il tutto con dialoghi secchi ma mai insulsi; con quel pizzico di umorismo per ridimensionare situazioni magari un po’ difficili; con svariati primi piani messi in risalto da una fotografia stile anni ’70 con scelte cromatiche forti ed essenziali.
Lungi dal voler dare spiegazioni psicologiche e senza spingere il piede sulla curiosità di quali siano le tendenze sessuali della ragazzina, il film non vuole approdare a conclusioni preconfezionate. Volutamente non dà risposte ad un tema che, invece, vuole solo essere presentato con garbo e sensibilità nella sua naturale genuinità.
Non c’è giudizio né condanna verso un sistema che, con le sue regole, non ti permette di vivere come vorresti.
Solamente l’innocenza di un’età che si affaccia al mondo con i suoi dubbi, le sue insicurezze e la voglia di essere se stessi.

Piergiorgio Ravasio