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E ora dove andiamo?

19 marzo 2012

RECENSIONE

regia: Nadine Labaki
cast: Nadine Labaki, Claude Baz Moussawbaa, Layla Hakim, Yvonne Maalouf, Antoinette Noufaily, Petra Saghbini, Ali Haidar, Kevin Abboud, Mostafà Al Sakka, Julien Farhat, Anjo Rihane, Khalil Bou Khalil, Samir Awad, Ziad Abou Absi
genere: Commedia
paese: Francia, Libano, Egitto, Italia
anno: 2011
durata: 100′
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 20/01/2012
voto: 8

Donne. Cristiane o musulmane, unite dalla saggezza della maternità, dalla consapevolezza che è necessario fare qualunque cosa, qualunque, pur di evitare che la guerra arrivi a distruggere una piccola comunità, pur di fermare la spirale di violenza e odio prima che porti allo scontro fisico e armato. Tutto per amore dei figli, dei quali qualunque madre di questa terra vorrebbe scongiurare la morte a qualsiasi prezzo e in qualunque modo. In un piccolo e non meglio specificato villaggio libanese, la comunità islamica e quella cristiana vivono insieme in una pace un po’ precaria retta con spirito sagace dalle donne del villaggio le quali, a prescindere dall’appartenenza religiosa, si muovono compatte per instillare un po’ di buon senso nella testa dei mariti. E quando il buon senso non basta esibiscono una fantasiosa lista di soluzioni alternative ed esilaranti.

E ora dove andiamo? il secondo film di Nadine Labaki (dopo Caramel) è una parabola al femminile che ha i modi della favola e i toni della commedia, ma racconta un dramma antico e sempre attuale come lo scontro di culture e di religioni. Interrogata sull’ispirazione che l’ha portata a girare questo film, la regista e interprete afferma che la maternità le ha dato uno sguardo nuovo attraverso il quale vedere i problemi politici, le guerre, la pace. Da madre, tutto passa attraverso la necessità di proteggere la vita. Ed è appunto con un film pieno di vita che denuncia la stupidità del conflitto: scene rese fulgide dalla calda luce del deserto, coreografie, canti e balletti che ricordano Bollywood (ma dovrebbero richiamare Grease), trovate, personaggi e battute sospese tra una gioiosa ingenuità ed uno scaltro talento narrativo.

Un film colmo di purezza che trascina dal piano realistico a quello fiabesco e viceversa e lascia l’amaro in bocca, ma anche un briciolo di speranza, suggerendo che non contano tanto le differenze, quanto le esperienze drammatiche e non che rendono tutti fragili e umani.

Maria Silvia Sanna

Limitless

8 aprile 2011

RECENSIONE
titolo originale: Limitless
regia: Leslie Dixon
doppiaggio italiano: Bradley Cooper, Robert De Niro, Abbie Cornish, Anna Fiel
genere: Thriller
paese: USA
anno: 2011
durata: 105
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 15/04/2011
8

Eddie Morra è un aspirante scrittore che non riesce a sfondare nel campo della letteratura. Il blocco dello scrittore lo costringe a ricorrere a rimedi pericolosi quando per caso incontra il suo ex cognato, che gli offre una nuova droga “legale” che permette di aumentare al massimo le capacità intellettive. Eddie non si fa tanti problemi e assume la pillola di NZT. Il suo cervello inizia a funzionare come un computer: riesce a imparare a suonare il pianoforte in meno di un giorno, così come qualsiasi lingua e qualsiasi tipo di abilità, e ancora più straordinario è che riesce a scrivere il libro in meno di poche ore. L’effetto del farmaco però è limitato, e per riprovare quella sensazione di onnipotenza Eddie ritorna dal suo ex cognato, il quale però lo inghiotte in un vortice di malavita. Ma con il cervello sfruttato al 100%, Eddie non ha paura di niente, e inizia una scalata ai vertici di Wall Street: da una piccola somma ricava milioni e le sue imprese vengono notate dal magnate della finanza Carl Van Loon, che gli offre un posto come consulente mediatore durante una grande fusione tra corporation. Inebriato dall’odore del successo, si accorge però dei terribili effetti collaterali del farmaco; è attaccato alla vita più di chiunque altro, e fa qualsiasi cosa per continuare la sua scalata verso la conquista del suo impero.
Limitless, sin dalle prime immagini, impressiona e promette di essere un titolo originale e ben costruito: andando avanti con la storia, ci si rende conto che quelle premesse sono fondate. Al di là dei piccoli difetti come dialoghi piuttosto sterili e buchi narrativi che denotano l’origine letteraria del film, Limitless rimane un incredibile film di denuncia, di azione, di thriller e di intrattenimento.
La critica che viene mossa è piuttosto interessante, perché guarda allo sfruttamento delle capacità di un uomo come lo sfruttamento dell’uomo stesso. Il denaro è il vero potere che ogni uomo vuole ottenere, e Limitless disegna questa amara verità tratteggiando un personaggio poliedrico nel suo carattere e nella sua evoluzione, e realistico nelle sue intenzioni. Raggiungere le vette di Wall Street rappresenta la condizione dell’uomo del 21^ secolo: un uomo i cui sogni vengono ridotti a un comun denominatore, ossia il denaro.
Affianco alla critica intelligente, c’è però un film davvero interessante dal punto di vista delle sequenze d’azione, frenetiche nei tempi e ben costruiti nelle immagini. L’effetto che provoca il farmaco alla mente di Eddie viene disegnato in maniera quasi ipnotico, con tecniche digitali e un montaggio che unisce riprese metropolitane in profondità: la macchina da presa sembra percorrere le strade di New York in un unico piano sequenza (senza interrunzioni), dando un senso di vertigine.
Limitless è stato tratto da un libro, The Dark Field di Alan Glynn, e nei casi degli adattamenti cinematografici di opere letterarie si sente sempre quel senso di vuoto narrativo che in un libro viene colmato da dettagli e tematiche che non possono essere riproposte sul grande schermo. È per questo che la trama del film risulta a volta troppo lunga e a volte priva di un collante che regga tutte le questioni che propone. Ma  grazie alla bravura di Bradley Cooper nei panni di Eddie il film è godibile sino all’ultima scena, che propone con un retro gusto amaro come il potere, nella società di oggi, non si ottiene mai in maniera lecita.
Criticabile la presenza di Robert De Niro, ormai ridotto all’ombra di sé stesso, che non riesce a dare nemmeno un quarto della sua bravura nei panni di un personaggio inquietante quanto pericolosamente realistico come Carl Van Loon. Fortuna che la star Bradley Cooper sostiene tutto il film con la forza della sua interpretazione.

Riccardo Rudi

StreetDance 3D

21 marzo 2011

Recensione
titolo originale: Streetdance 3D
regia: Max Giwa, Dania Pasquini
cast: Charlotte Rampling, Patrick Baladi, George Sampson
genere: drammatico
paese: Gran Bretagna
anno: 2010
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 16/03/ 2011
6

 

Sembra incredibile, ma c’è più trama in un porno che in Streetdance 3D! Infatti, il canovaccio di storia presente nel film dei due grandi esperti di videoclip musicali Max Giwa e Dania Pasquini fa da mastice tra le varie sequenze di danze indiavolate, con una sorta di climax in crescendo. Al contempo, come nel melodramma il recitativo secco o accompagnato lega due arie liriche, in questo lungometraggio i dialoghi fungono per fare il punto della situazione sugli sviluppi della trama. Qui alla biondina tutta pepe che risponde al nome di Carly tocca diventare capo della crew, avviata dall’ex fidanzato Jay. Tuttavia, nessuno nasce imparato e l’autorità di una leader che non riesce a trovare un posto per provare può essere smentita da un momento all’altro. Un patto quasi faustiano, stretto con l’insegnante di una nota scuola di balletto Helena Fitzegald, permetterà a Carly e alla sua affiatata compagnia di esercitarsi presso le aule di quell’insigne edificio. Da parte sua, la giovane dovrà rimpolpare le file del suo corpo di ballo con cinque danzatori classici, del tutto ignari del sound urbano. In vista, c’è un importante traguardo da raggiungere: ottenere il posto più in alto sul podio alle prossime finalissime dei campionati nazionali inglesi di streetdance, scalzando i Surge (i Flawless nella realtà) ossia i campioni in carica.
Proprio come gli statunitensi Step Up, Ballare per un sogno e Save the last dance, Streetdance 3D ha in comune il pregiudizio teorico secondo il quale “visto uno, li hai visti tutti”. Invero, questo genere non fa altro che riciclare costantemente se stesso, pure nel proporre il connubio inedito (una volta!) tra balletto classico e freestyle hip hop. Sciocco aspettarsi un po’di vigore dalle impennate drammatiche della sceneggiatura ricca di cliché di Jane English, l’interesse si polarizza esclusivamente sulle davvero notevoli coreografie artistiche dirette dai maestri Kate Prince, Will Tuckett e Kenrick Sandy. La tecnica del 3D live action giova poi alla riuscita emozionante delle immagini, che segna un nuovo sviluppo per questo tipo d’intrattenimento, inferiore solo a quello che fu l’avvento del sonoro per i musical.
All’interno di un gruppo di perfetti sconosciuti che (forse) si faranno, si segnala il debuttante George Sampson, trionfatore dell’edizione 2008 dello show Britain’s Got Talent. Ma, in Streetdance 3D spunta pure un volto familiare a tutti i cinefili: l’indimenticabile Charlotte Rampling de Il portiere di notte. Purtroppo, nella pellicola di Giwa e Pasquini il mito dell’attrice inglese si “degrada”, si offusca e l’attrice rimane solo l’ombra bolsa di ciò che un tempo fu.

Maria Cristina Caponi

The Fighter

5 marzo 2011

RECENSIONE
titolo originale: The Fighter
regia: David O. Russell
cast: Mark Wahlberg, Christian Bale, Melissa Leo, Amy Adams

genere: Drammatico
paese: USA
anno: 2010
durata: 115
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 04/03/2011

6

Dai riflettori sul ring a quelli del set: The Fighter porta sugli schermi la vera storia di Micky Ward e della sua travagliata ascesa da promessa della boxe a campione del mondo.
Sarà per la comune, rutilante, propensione alla spettacolarità e a uno spesso effimero divismo, sarà il crescendo ritmato di tensione drammatica o un retroterra fatto di vicende personali spesso dolorosamente poetiche, nella loro aura di entieroismo: certo è che il pugilato sembra non aver mai smesso – da Chaplin a Hitchcock, passando per Kubrick, Scorsese, la saga di Rocky o l’Alì di Michael Mann – di esercitare la propria suggestione sul mondo del cinema.
Ultimo ad oggi, in ordine di arrivo, è il contributo di David O.Russell, che con The Fighter ha consegnato alla settima arte un nuovo, appassionante ritratto in grado di coniugare il realismo quasi documentaristico del bio-pic, alla potenza tragica del dramma familiare.
L’impianto è infatti quello tipico della parabola sportiva, con i trionfi, le defaillance, le le aspirazioni di realizzazione personale e riscatto sociale, nel quale si innesta la dimensione interiore dell’uomo Ward (Mark Wahlberg), in conflitto tra le pressioni del successo e quelle della madre manager fin troppo intraprendente e ambiziosa, e del fratello Dicky (Christian Bale), stella del guantone spenta dalla dipendenza da crack, astuto quanto inaffidabile allenatore.
Russell conduce il gioco con mano ferma, destreggiandosi nel bivio della narrazione attraverso una sagace alternanza tra il pathos efficacemente coreografato delle sfide sul ring, e un resoconto della vita privata del protagonista non esente da licenze storiche e piccole scivolate nel romanzesco, ma complessivamente in grado di mantenersi avvincente e appassionante grazie anche ad uno script capace di restituire le tensioni con sobrietà, senza cadere nella trappola di facili soluzioni patetiche.
Ma ad elevare The Fighter dalla merà onestà diligente della ricostruzione biografica, provvedono inoltre il disegno a tutto tondo di personaggi sfaccettati e umani nella loro contradditorietà, l’afflato di disincantato umorismo, el’accurata ambientazione nella provincia americana anni ’80 che dà al tutto quel necessario tocco tamarramente genuino. E il valore aggiunto di un cast strepitoso, dove, più che la scontata (per quanto notevole) performance attira-Academy di un Bale smagrito e nervoso, spiccano il carisma di Melissa Leo, e la compostezza, ancora troppo sottovalutata del protagonista Whalberg.

Caterina Gangemi

Solomon Kane

19 luglio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Solomon Kane
regia: Michael J. Bassett
cast: James Purefoy, Max Von Sydow, Rachel Hurd-Wood, Pete Postlethwaite
genere: Fantasy / Azione / Avventura / Horror
paese: Francia, Repubblica Ceca, Gran Bretagna
anno: 2009
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 14/07/2010
7

Solomon Kane è un’avventura fantastica ed epica, piena di azione, tratta dal personaggio dei racconti e delle poesie dello scrittore americano Robert Howard (scrittore con una visione limitata e intensa della vita; sanguinosa, cupa, fatalista, alimentata da tendenze depressive e suicide e segnata dallo studio delle guerre mondiali, dalla filosofia e dalla poesia. Basti sapere che Brown, nel 1936, si suicidò sparandosi un colpo in testa dopo aver vegliato fino all’ultimo la madre sul letto di morte).
Il personaggio più famoso di questo scrittore (che ci ha lasciato, comunque, almeno 800 opere tra racconti, poesie e romanzi oggetto di lungometraggi, serie televisive, fumetti, giochi e merchandising vari) è Conan il barbaro, diventato famoso negli anni ’30 con una serie di racconti e romanzi, nonché trasposto successivamente sugli schermi negli anni ’80 con le fattezze dell’ormai governatore Arnold Schwarzenegger).
Dopo Conan arriva Solomon: il pirata avventuriero, saccheggiatore, pieno di tatuaggi, cicatrici e ferite da battaglia, abile a destreggiarsi con le spade e che diventa pellegrino passando per il mezzo di un’esperienza puritana. Eroe che tramuta il male in bene, fermamente convinto del proprio ruolo e determinato in tutto ciò che si prefigge.
L’incontro con la Morte, venuta a prendere la sua anima, lo porterà a giurare davanti a Dio che non sarà mai più un uomo cattivo.
Bandito dal monastero dove aveva trovato rifugio, Solomon si imbarca per un viaggio arduo attraverso un paesaggio inglese devastato dai perfidi Raiders di Overlord. Attaccato dai banditi della foresta, il nostro eroe verrà soccorso da una famiglia di puritani in fuga dal loro paese. Purtroppo situazioni varie lo costringeranno a riabbracciare i suoi violenti trascorsi.
Michael J. Bassett, al suo terzo lavoro per il grande schermo dopo l’horror ambientato nelle trincee della prima guerra mondiale Deathwatch e la scioccante pellicola sulla sopravvivenza Wilderness, accostando comparse degne di nota (Max Von Sydow nel ruolo del padre di Solomon) e inserendo creature strane in un racconto classico, ci regala una storia d’avventura feroce, fantasy, dove il mix omogeneo di azione e fantasy, in perfetto stile dark, ci offre una versione fantastica dell’Inghilterra del 16esimo secolo, corredata di demoni, saprofagi, creature volanti e streghe cattive. Nel contempo ci regala anche un protagonista (già apprezzato in Resident Evil) molto cattivo ed esperto nell’uccidere persone, vestito di cappello e mantello e sempre provvisto di due spade in mano, alle prese con un viaggio trasformatore che lo porterà, da screanzato pirata assassino e vendicatore puritano, ad una forma di redenzione passando per  quell’eterna battaglia volta a combattere il male in nome di Dio, pentendosi per ogni colpo di spada inflitto durante il proprio cammino.
Girato nell’arco di 12 settimane tra Repubblica Ceca e Regno Unito, illuminando i nostri occhi con location uniche in quanto a paesaggi, cave, foreste antiche e castelli medievali, ispirandosi ai maestri fiamminghi per permeare il film di una visione senza tempo, la pellicola fantasy (piena di elementi sovrannaturali, di stregonerie, di trucchi e di effetti speciali che ben riescono nel loro intento di inserire creature strane in un racconto classico) ci offre un risultato comunque più che positivo, nonostante la trama non spicchi di originalità.
Merito, soprattutto, di quegli effetti speciali che, esaltando ora una galleria di specchi, con strane creature organiche, attraverso le quali si accede ad un’altra dimensione, ora una coinvolgente scena di una crocefissione al rione del mercato, ci preparano a quel buon intrattenimento profetico dove gli accenni biblici di una possibile (spirituale) redenzione si affiancano a quelli di un demone in procinto di divenire angelo.
Insomma: buone scene di azione dove il personaggio sa ben calarsi nei panni dell’eroe leggendario, tenebroso e serio; ricercati costumi che danno un quadro ideale dell’Inghilterra del tempo, mista ad un tocco di fantasia; fotografia che riesce ad esaltare un paesaggio cupo, gelido e medievale.
Immaginando il film, come pare nelle intenzioni dei produttori, già nell’ottica di una possibile trilogia, grazie ad un personaggio “viaggiatore” in perenne ricerca di conflitti da dirimere (e per il quale 90 minuti di film certamente non bastano), aspettiamoci nuove peripezie nei prossimi anni.
Se Dio gli ha donato una serie di attributi per aiutare i diseredati, avremo di che allietarci in un prossimo futuro. Ciò che conta è come si usa il proprio dono ricevuto in dote: l’importante è farlo bene. E Solomon Kane sembra aver capito la lezione.

Piergiorgio Ravasio

The Twilight Saga – Eclipse

30 giugno 2010

RECENSIONE
titolo originale: The Twilight Saga: Eclipse
regia: David Slade
cast: Kristen Stewart,Robert Pattinson, Taylor Lautner, Ashley Green, Bryce Dallas Howard, Billy Burke. Peter Facinelli, Nikki Reed, Kellan Lutz, Dakota Fanning
genere: Romantico/Horror
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Eagle Pictures
durata: 121
uscita nelle sale: 30/10/2010
5

Si avvicina il giorno del diploma e Bella è in attesa di essere vampirizzata da Edward, il quale, però, è restio a trasformare la sua amata in un mostro. Nel frattempo il triangolo amoroso tra Edward, Bella e Jacob si complica ulteriormente quando il licantropo le dichiara il suo amore, mettendo in crisi i sentimenti di Bella. Ma una serie di misteriosi omicidi mettono in allerta i Cullen, i quali scoprono che una loro vecchia conoscenza sta reclutando vampiri neonati per attaccare Fork.
La saga di Twilight sembra non avere limiti, e dopo il successo dei primi due capitoli al cinema, Twilight e New Moon, i vampiri di Stephenie Meyer ritornano più luminosi che mai nel penultimo capitolo di una saga che sta facendo strage di cuori tra le fila degli adolescenti. Sono passati 2 anni da quando l’autrice ha pubblicato l’ultimo libro della saga, Breaking Dawn, ma sembra che non ci sia stato un arresto da parte del pubblico che continua ad avanzare inesorabile, assetato della storia d’amore di Bella ed Edward.
La sua novella teen-horror-drama, al grande schermo sta riscuotendo un successo di pubblico senza pari, oltrepassando quello dei libri. Cos’è che ha determinato un successo del genere? Sicuramente la natura della trama, impregnata di tutte quelle vicende adolescenziali che al pubblico giovanile (e non) interessano particolarmente e grazie anche a una fila di prodotti televisivi di genere che lo hanno abituato a intrecci amorosi straordinari (Dawson’s Creek, The O.C., Gossip Girl) e a storie d’amore ibridate con l’action e l’horror (Buffy, anche se è riduttivo descrivere questa serie tv in questi termini). Questo tipo di narrazione assicura un certo grado di immedesimazione: le tematiche sono semplici e molto facili da comprendere; le dinamiche emotive vengono raccontate senza complicazioni o artifici, ed infine, ha la capacità di raggiungere il cuore dello spettatore appassionato per via dell’elementarità dei sentimenti raccontati. La natura del teen drama e di Twilight, si può descrivere se si parla quindi di “romanzo di formazione sentimentale”, dove l’evoluzione dei personaggi, semplici caratterialmente e superficiali nelle loro azioni, è direttamente collegata ai legami emotivi che si istaurano tra di loro, e che portano a conseguenze importanti nella loro vita. La saga di Twilight vanta tutto questo, assicurando una fruizione godibile e raggiungibile da tutti.
Al di là di questo, il successo della saga si deve ricondurre soprattutto al cast, affascinante e carismatico agli occhi dello spettatore appassionato che non aspetta altro che vedere la storia d’amore travagliata tra Bella ed Edward. La scelta di far impersonare i due amanti da Kristen Stewart e Robert Pattinson è stata una mossa che ha reso i due attori, per il pubblico giovanile, delle icone dell’immaginario televisivo/cinematografico; la forza della saga, quindi, risiede proprio in questo elemento, dove si concentrano tutte le mosse di merchandising al fine di promuovere il volto dei due personaggi.
Eclipse, quindi non ha avuto bisogno di molta pubblicità, poiché i fan e il pubblico fedele sono rimasti in trepidante attesa, e perché ormai la saga di Twilight si è imposta nel mercato come un titolo che non ha bisogno di presentazioni. La caratteristica interessante di questo film è che la sua cifra stilistica non va ricondotta al regista – che in questo terzo capitolo è David Slade – diventata, ormai, una figura opaca e di transizione per il pubblico interessato solo alla storia e ai personaggi. In effetti, sembra di trovarsi di fronte a una serie televisiva, dove le puntate di una stagione non sono dirette dallo stesso regista o dall’ideatore della serie, bensì da una moltitudine di autori che prestano la loro mano per dirigere un episodio. Così accade solitamente con le saghe cinematografiche, in particolare con Twilight. Questo dimostra come l’autorialità del film non sia interessante agli occhi dello spettatore “tipo” di Twilight, che volge l’attenzione allo schermo solo per vedere come prosegue la trama. La cecità che caratterizza questo tipo di pubblico facilità il compito del regista, e la sceneggiatura può essere scritta e diretta con molta più facilità. Il risultato è un prodotto ambiguo, impacciato, alle volte ridicolo e attaccabile da ogni parte: dalla costruzione dei personaggi alla loro evoluzione,  sino all’inutilità delle scene action presenti principalmente verso la fine della narrazione.
In attesa dell’ultimo capitolo, che sarà diviso in due parti, si deve sottolineare come Stephanie Meyer abbia creato un fenomeno di massa di proporzioni gigantesche, affiancandosi a quel tipo di produzione letterario/cinematografica che sta caratterizzando il nuovo millennio, come ad esempio Harry Potter. La critica sterile e soggettiva verso un film come Eclipse, che non eccelle di bellezza cinematografica, diventa fine a se stessa se non si comprendono le dinamiche del pubblico.

Riccardo Rudi