Posts Tagged ‘3D’

Cars 2

22 giugno 2011

RECENSIONE
titolo originale: Cars 2
regia: John Lasseter, Brad Lewis
cast: Owen Wilson, Tony Shaloub, Larry The Cable Guy, John Turturro, Emily Mortimer, Michael Caine, Joe Mantegna
genere: Commedia/Animazione
paese: USA
anno: 2011
durata: 120
distribuzione: Walt Disney Pictures
uscita: 22/06/2011
5

Come Wes Craven ci ha insegnato, un sequel che si rispetti non può prescindere dalla moltiplicazione e il potenziamento di quegli elementi che avevano decretato il successo del primo. Non fa eccezione a queste regole neppure il mondo dell’animazione, come testimonia il secondo capitolo di Cars, nel quale John Lasseter e soci, forti dell’exploit del 2006, ripropongono la stessa formula vincente, premendo il pedale dell’acceleratore in direzione di una maggiore spettacolarità.
I tratti sono quelli caratteristici e impeccabili del brand Pixar: regia  (dello stesso Lasseter, coadiuvato dal veterano Brad Lewis) brillante e dinamica, animazione strabiliante nel dare credibilità a un mondo interamente a quattro ruote, immancabile retroterra edificante disneyano, qui improntato ai valori dell’amicizia e della lealtà. A rendere il tutto più roboante provvede il plot che mette da parte le consuete sfide automobilistiche del protagonista Saetta McQueen, alle prese con un temibile avversario italiano invincibile e sbruffone, a favore di un’inedita spy-story che vede il suo amico sempliciotto Carl Attrezzi, detto Cricchetto, coinvolto suo malgrado in un complotto internazionale che lo catapulterà in una serie di rocambolesche avventure in giro per il mondo.
Ed è proprio sul verante della storia che, paradossalmente, emergono le magagne di un prodotto troppo teso ad attingere quegli stessi meccanismi efficaci del precedente, quanto incapace di gestire con mano ferma le novità: così, se il racconto arranca sotto il peso di un affastellamento episodico di gag improntate ad uno humor esclusivamente infantile, poco felice si rivela la scelta di affidarne i comandi ad un personaggio-spalla come il malcapitato Cricchetto, la cui caratterizzazione macchiettistica e bambinesca si rivela del tutto inadeguata nel mantenere l’appeal della vicenda.
Ne fanno le spese il ritmo, dissipato in due eccessive ore di tempi morti e inutili orpelli di contorno alle pur mirabolanti scene d’azione, e lo stesso divertimento, che trova appagamento soltanto nella miriade di citazioni e riferimenti e nelle geniali trovate legate all’antropomorfizzazione di un universo di motori, declinato per l’occasione nelle sue varianti geografiche.
Ad appesantire il tutto, provvede infine lo scellerato doppiaggio dell’edizione italiana che vanifica il lavoro degli interpreti originari (del calibro di Owen Wilson, John Turturro, Tony Shaloub, Emily Mortimer e Michael Caine) raggiungendo il nadir con l’irriducibile antipatia di Alessandro Siani e l’imbarazzante quanto inutile cameo vocale di Sofia Loren.

Caterina Gangemi

StreetDance 3D

21 marzo 2011

Recensione
titolo originale: Streetdance 3D
regia: Max Giwa, Dania Pasquini
cast: Charlotte Rampling, Patrick Baladi, George Sampson
genere: drammatico
paese: Gran Bretagna
anno: 2010
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 16/03/ 2011
6

 

Sembra incredibile, ma c’è più trama in un porno che in Streetdance 3D! Infatti, il canovaccio di storia presente nel film dei due grandi esperti di videoclip musicali Max Giwa e Dania Pasquini fa da mastice tra le varie sequenze di danze indiavolate, con una sorta di climax in crescendo. Al contempo, come nel melodramma il recitativo secco o accompagnato lega due arie liriche, in questo lungometraggio i dialoghi fungono per fare il punto della situazione sugli sviluppi della trama. Qui alla biondina tutta pepe che risponde al nome di Carly tocca diventare capo della crew, avviata dall’ex fidanzato Jay. Tuttavia, nessuno nasce imparato e l’autorità di una leader che non riesce a trovare un posto per provare può essere smentita da un momento all’altro. Un patto quasi faustiano, stretto con l’insegnante di una nota scuola di balletto Helena Fitzegald, permetterà a Carly e alla sua affiatata compagnia di esercitarsi presso le aule di quell’insigne edificio. Da parte sua, la giovane dovrà rimpolpare le file del suo corpo di ballo con cinque danzatori classici, del tutto ignari del sound urbano. In vista, c’è un importante traguardo da raggiungere: ottenere il posto più in alto sul podio alle prossime finalissime dei campionati nazionali inglesi di streetdance, scalzando i Surge (i Flawless nella realtà) ossia i campioni in carica.
Proprio come gli statunitensi Step Up, Ballare per un sogno e Save the last dance, Streetdance 3D ha in comune il pregiudizio teorico secondo il quale “visto uno, li hai visti tutti”. Invero, questo genere non fa altro che riciclare costantemente se stesso, pure nel proporre il connubio inedito (una volta!) tra balletto classico e freestyle hip hop. Sciocco aspettarsi un po’di vigore dalle impennate drammatiche della sceneggiatura ricca di cliché di Jane English, l’interesse si polarizza esclusivamente sulle davvero notevoli coreografie artistiche dirette dai maestri Kate Prince, Will Tuckett e Kenrick Sandy. La tecnica del 3D live action giova poi alla riuscita emozionante delle immagini, che segna un nuovo sviluppo per questo tipo d’intrattenimento, inferiore solo a quello che fu l’avvento del sonoro per i musical.
All’interno di un gruppo di perfetti sconosciuti che (forse) si faranno, si segnala il debuttante George Sampson, trionfatore dell’edizione 2008 dello show Britain’s Got Talent. Ma, in Streetdance 3D spunta pure un volto familiare a tutti i cinefili: l’indimenticabile Charlotte Rampling de Il portiere di notte. Purtroppo, nella pellicola di Giwa e Pasquini il mito dell’attrice inglese si “degrada”, si offusca e l’attrice rimane solo l’ombra bolsa di ciò che un tempo fu.

Maria Cristina Caponi

The Green Hornet

27 gennaio 2011

Recensione
titolo originale: The Green Hornet
regia: Michel Gondry
cast: Seth Rogen, Jay Chou, Cameron Diaz, Christoph Waltz, Edward Furlong, Edward James Olmos, Tom Wilkinson, David Harbour
genere: Azione
paese: Usa
anno: 2011
distribuzione: Sony Pictures
uscita: 28/01/ 2011
6

 

Nel 1936 sulle frequenze WXYZ della radio locale di Detroit, il popolo statunitense prova per la prima volta il desiderio di essere un supereroe. Simile vocazione a un sogno tanto impudente non è però veicolata dal principio greco del kaloska’gathòs (l’eroe bello e buono), che aderisce come una seconda calzamaglia a quel fustacchione di Superman. Incredibile ma vero, la mitologia classica di oltre oceano parte con uno yuppie irresponsabile dal poco blasonato stemma a forma di calabrone verde. Oggi, dopo aver impazzato nei programmi radiotelevisivi statunitensi di alcune decadi fa, il pungiglione della famosa vespa è stato acquisito dal comico ventinovenne Seth Rogen. A condividere la stessa ansia per la giustizia di Britt Reid/Green Hornet è il laborioso meccanico Kato, interpretato dalla giovane star taiwanese Jay Chou (nel 1966 lo stesso ruolo era toccato nientepopodimento che a Bruce Lee!). Poi, al pari del fedele maggiordomo Alfred Pennyworth di Batman, la sexy segretaria quasi privata Lenore Case (Cameron Diaz) è un valido sostegno per le gesta eroiche dei prodi combattenti metropolitani. Tuttavia, non basta la presenza di questa pupa biondo platano per dare un po’ di pepe a un qualche risvolto carnale dalla geometria triangolare. L’onore di maneggiare tutto l’armamentario del perfetto villain spetta, invece, a un gigionesco Christoph Waltz, già entrato nell’Olimpo dei cattivoni hollywoodiani grazie al personaggio del perfido colonnello Hans Landa in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino.
Guardando The Green Hornet, la domanda è d’obbligo. È davvero Michel Gondry oppure no? Ma, certo che è lui. Almeno sulla carta, visto che il nome del regista di Se mi lasci ti cancello compare nei credits del film. Però, si ha come la sensazione che, sebbene la firma in calce a The Green Hornet sia effettivamente la sua, qualcun altro lo abbia aiutato a impugnare la penna con cui Gondry ha firmato la resa incondizionata nei confronti del nuovo, ingombrante blockbuster americano. E inoltre: perché la soluzione artigianale degli effetti speciali già vista all’opera ne L’arte del sogno e Be Kind Rewind-Gli acchiappafilm è passata in un batter d’occhio dall’essere cifra stilistica del filmaker francese a mero inventariato di quattro trucchi a casaccio, tanto da essere rimpiazzato dal ben più moderno 3D?
La popolarità ottenuta a prezzo della propria prostituzione intellettuale comincia così a far perdere colpi e smalto a uno degli autori più originali dell’ultimo decennio. Triste a dirlo, eppure qualsiasi difesa a favore dell’ex enfant prodigeGondry non è altro che un atto nemico della verità. Si spera, almeno, che il regista non voglia nuovamente lucrare sulla plenaria indulgenza dimostrata questa volta dai suoi fedeli ammiratori, accettando di dirigere un possibile sequel sul giustiziere calabrone. L’unica consolazione è delegata ai vari Thor, Green Lantern, X-Men, Spiderman, etc. ovvero i paladini della Marvel e Dc che – tra brevissimo – invaderanno le sale cinematografiche. Non c’è che l’imbarazzo della scelta…

Maria Cristina Caponi

Rapunzel – L’intreccio della torre

27 novembre 2010

RECENSIONE
titolo originale: Tangled
regia: Nathan Greno, Byron Howard
cast: Laura Chiatti, Giampaolo Morelli (versione italiana)
genere: animazione
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Walt Disney
uscita: 26/11/2010
9

Un po’ family melodrama, un po’ woman’s film per le bambine di oggi e le donne di domani, Rapunzel-L’intreccio della Torre di Nathan Greno e Byron Howard ha il sapore perduto della Grande Disney che non disdegna di concedersi al moderno 3D, tramite la supervisione di John Lasseter (il papà di Toy Story). La major di Topolino, Pippo e Paperino tocca un punto incontrovertibile, slittando una favola dei fratelli Grimm come Raperonzolo sull’asse freudiano del vecchio, caro legame edipico. Il rapporto figlia/madre è un modello di composizione altamente conflittuale, in quanto la giovane protagonista deve reprimere la propria soggettività di fronte ai condizionamenti impartiti dall’autorità genitoriale. Poi Rapunzel riesce finalmente a diventare padrona della propria vita, ma solo nel momento esatto in cui scappa dalla solitudine della propria stanza posta all’interno di una torre invalicabile. Una volta sottrattasi dal dominio psicologico della matrigna Ghotel che l’ha sempre trattata alla stregua di un brutto anatroccolo, la ragazza dalla chioma dorata diventa il centro di ogni luogo pubblico incontrato sul suo camino. Rapunzel riesce pertanto ad acquistare una propria autostima personale e inizia ad ascoltare la voce femminile che è in lei, innamorandosi – ricambiata – di un uomo energico e al contempo volitivo. Così, la fanciulla scopre la propria indipendenza, senza dover necessariamente dire addio alla dolcezza che la contraddistingue; mentre, il ladruncolo Flynn Rider riesce a confessare il trauma di un’infanzia privata dal corpo materno e paterno. Insieme i due futuri amanti intraprendono un viaggio sia letterale sia metaforico in una landa sperduta alla volta delle lanterne colorate, che si librano in cielo ogni anno il giorno del compleanno della ragazza.

A tratti, sembra che la figura materna emerga come una sorta di enigma, anche se sin da subito lo spettatore ha preso atto della volontà che muove le sue azioni. Tuttavia, è inevitabile chiedersi se le dinamiche psichiche di Ghotel siano solo quelle concernenti il possesso di Rapunzel in quanto soddisfacimento dell’anormale desiderio di giovinezza o se ci sia in ballo anche qualcosa di più, tipo un perverso ed esclusivo legame d’affetto. D’altronde, quest’anomala antagonista permette al pubblico di riflettere sulla risoluzione fantasmatica della bellezza immortale da lei ottenuta tramite un potere magico, equivalente alle meraviglie – altrettanto soprannaturali – dei bisturi medici nella nostra società dell’immagine.

Rapunzel-L’intreccio della Torre sarà il vostro film di Natale con una chicca in più: il doppiaggio italiano è affidato a Giampaolo Morelli alias ispettor Coliandro e alla bella Laura Chiatti, le cui doti canore sono note già dai tempi della fiction televisiva dedicata a Rino Gaetano.

Maria Cristina Caponi

Cattivissimo me

17 luglio 2010

ANTEPRIMA / RECENSIONE

titolo originale: Despicable Me
regia: Pierre Coffin, Chris Renaud
genere: Animazione
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Universal Pictures Italia
durata: 95′
uscita nelle sale: 15/10/2010
7

Un’irritante famigliola in vacanza in Egitto si appresta a scattare l’inevitabile foto ricordo di fronte alle piramidi. Il figlioletto sfugge al controllo dei genitori, si arrampica su un’impalcatura e prima che le guardie possano fermarlo scivola in caduta libera verso una piramide. Anziché ferirsi, rimbalza come una pallina impazzita portando alla luce quello che sembra essere il furto del secolo: la piramide è scomparsa ed è stata rimpiazzata con un ologramma. Così inizia la storia di Cattivissimo me, nuovo film d’animazione targato Universal. Il furto in questione va attribuito al cattivo numero uno della città, il quale, però, scopriamo non essere il protagonista Gru. Nonostante ogni suo tentativo di mettere a segno il colpo del secolo (rubare la Statua della Libertà, la Tour Eiffel, tutte repliche di Las Vegas in realtà), c’è sempre qualcuno che commette un crimine più grande. Ciò è motivo di enorme frustrazione per Gru, perché continua a deludere le aspettative della madre. A nulla servono le macchinazioni e l’aiuto di un esercito di minion, fedeli aiutanti gialli in divisa da muratore. Il malvagio personaggio ha, però, in mente un piano che potrà finalmente porlo tra i più grandi, fargli guadagnare il rispetto della madre, e sbaragliare la concorrenza: rubare la luna. Il suo piano meschino deve far affidamento sulla partecipazione involontaria di tre piccole orfanelle, le quali, invece, credono di aver finalmente trovato un papà disposto ad adottarle. L’arrivo delle tre piccole potrebbe tuttavia cambiare la visione del mondo di Gru.
Cattivissimo me fa leva su un’idea di partenza intrigante: porre al centro della vicenda un cattivo a tutto tondo, che spesso offre l’opportunità di giocare con gli stereotipi e di mettere in scena situazioni divertenti. Dispiace constatare che, man mano che la storia si sviluppa, l’ironia va gradualmente affievolendosi.
I personaggi più irriverenti e vera fonte di humour sono i piccoli minion gialli che ricordano da vicino i Gremlins, pestiferi e giocosi allo stesso tempo. Se il film fosse stato incentrato in gran parte su di loro (come la campagna pubblicitaria porta a pensare) sarebbe probabilmente stato un film migliore. Invece sono relegati al ruolo di spalla per un cattivo con manie di grandezza, motivato dalla mancanza di affetto da parte della propria madre durante l’infanzia. Gru tanto cattivo alla fine non è, anzi, nasconde un cuore buono che, come è prevedibile, si farà intenerire dall’arrivo delle tre orfanelle. La trama è semplice, la morale pure: i valori familiari trionfano sempre. Non abbiamo nulla in contrario, ma con un titolo come Cattivissimo me ci si aspettava forse un ritratto più aggressivo di un personaggio malvagio, al quale finalmente veniva dato lo spazio da protagonista. Lo spirito di originalità mostrato nell’incipit (la sequenza in caffetteria o quella con i palloncini modellabili) lascia presto il passo alla classica sfida tra il buono e il cattivo.
Alcune trovate sono particolarmente divertenti (la banca del male nasce sulle ceneri di una delle banche americane che hanno subito il recente tracollo finanziario), ma la pellicola dimostra presto di essere stata confezionata principalmente con un pubblico di bambini in mente. Le strizzate d’occhio al pubblico adulto sono ben poche.
Dal punto di vista dell’animazione invece risulta impeccabile: l’effetto 3D a disposizione viene sfruttato in ogni direzione, sia per dare profondità alle immagini che per creare l’effetto illusorio degli oggetti che escono dallo schermo. Per chi ama godersi le voci originali, va menzionata la grande prestazione di Steve Carell che dona a Gru un’inflessione di origine russa e che sembra divertirsi molto con il personaggio. In Italia il protagonista è doppiato da Max Giusti.
Per il pubblico più piccolo il divertimento è assicurato. A quello più grandicello, forse abituato troppo bene dai film d’animazione degli ultimi anni, consigliamo di lasciarsi conquistare dai terribili minion.

dal nostro inviato a Los Angeles, Michael Traversa

Toy Story 3

13 luglio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Toy Story 3
regia: Lee Unrkich
cast:
genere: Animazione
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
durata: 109′
uscita nelle sale: 7/07/2010
8


Il giorno tanto temuto da Woody e gli altri è arrivato: Andy ormai è cresciuto, i suoi giocattoli sono diventati ricordi di una felice infanzia, ed è pronto a lasciare casa per andare al collage. I suoi compagni d’avventure sono rassegnati all’idea di non poter essere nella vita del loro amico e sono costretti a lasciare la sua camera, luogo di tantissime peripezie e fantastiche storie, per andare nella polverosa soffitta. Per una serie di coincidenze però fraintendono che Andy in realtà vuole buttarli; tristi e arrabbiati sentono parlare dell’asilo, in cui i giocattoli possono vivere felici insieme ad altri bambini. Ma l’asilo si rivela peggio di una prigione, e dovranno mettere in atto un piano di fuga per poter tornare da Andy e salutarlo per l’ultima volta.
Woody, Buzz e tutta la banda dei giocattoli più famosi del mondo tornano nel terzo capitolo della saga che ha rivoluzionato il cinema d’animazione: nel lontano 1995, Toy Story è stato infatti il primo lungometraggio d’animazione completamente sviluppato in CG (Computer Grafica), creando un nuovo tipo di cinema che affiancherà quello d’animazione in 2D. La sua estetica ha portato una nuova impostazione, aderendo all’ immaginario moderno cinematografico che in quegli anni si stava affacciando grazie al computer, che diventava il medium interattivo e digitale accessibile a tutti.
Ma Toy Story non si impone nel cinema solo per il suo aspetto e le sue tecniche digitali, ma è di fondamentale spessore per la storia, forse una delle più toccanti ed esilaranti mai scritte: il film si presenta come un’operazione nostalgica, un omaggio a un tipo di infanzia fatta di giocattoli, di fantasia e mondi. I protagonisti sono vere e proprie citazioni e riferimenti al mercato ludico che durante gli anni ’90 ha fatto prodotto milioni di giocattoli che hanno fatto breccia nei cuori dei bambini (ma che noi italiani forse non conosciamo, come Mr. Potato, che in America è molto famoso). Voler omaggiare e ricordare la forza dell’immaginazione come fonte di infinito divertimento è una sottile una critica verso i nuovi mezzi di intrattenimento, tra cui il computer e le varie console videoludiche, che in quegli anni si sostituivano sempre di più ai giocattoli. In tutti e tre i capitoli di Toy Story, i suoi protagonisti hanno la costante paura di non essere più usati da Andy, o da qualsiasi altro bambino: senza l’innocenza dell’infanzia infatti non sono altro che semplici pupazzi privi di vita. Questo messaggio è delicato e viene rafforzato da un forte impianto drammatico, che viene affiancato da una commedia esilarante e pieno di stile. Eppure non si può non notare  una contraddizione: sebbene il film definisca il problema dei nuovi media digitali nell’ambito dell’infanzia, l’essenza stessa della pellicola è proprio quella virtualità e digitalità che si vuole criticare.
Al di là di queste riflessioni, Toy Story 3 sbalordisce e stupisce per la sua maturità. La Pixar ha fatto un lavoro eccellente perché è riuscita a portare in auge un titolo che tutti attendevano, e che rischiava di essere troppo vecchio per essere riportato sul grande schermo; oltretutto è risaputo che i sequel possono essere pericolose bombe commerciali, pronte a esplodere nella superficialità e nella banalità più totale. Invece questo sequel è incredibile, riuscendo a rispolverare una delle storie che hanno toccato i cuori di tutti noi. Sin dalla prima scena si avverte la malinconia e il nostalgico saluto ai giocattoli più conosciuti del mondo, e tra risate, divertimento e ilarità, una lacrima si farà spazio tra gli occhialetti 3D (tecnologia oltremodo inutile per questo film).

Riccardo Rudi