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Mozzarella Stories

23 settembre 2011

RECENSIONE
Titolo originale: Mozzarella Stories
Regia: Edoardo De Angelis
Cast: Luisa Ranieri, Massimo Gallo, Andrea Renzi, Giampaolo Fabrizio, Tony Laudadio, Massimiliano Rossi, Giovanni Esposito
Paese: Italia
Genere: Commedia
Anno: 2011
Distribuzione: Eagle Pictures
Uscita: 23/09/2011
7

Ciccio DOP (Gianpaolo Fabrizio, mitico Bruno Vespa di “Striscia la notizia”) è un produttore di mozzarella in crisi a causa di un gruppo di concorrenti cinesi che si sta affacciando sul mercato e i cui prodotti sono di qualità eccellente e più economica dei suoi.
Il suo factotum, soprannominato Ragioniere (Andrea Renzi), viene incaricato di far rientrare in pochi giorni tutti i soldi che il suo capo ha prestato in giro; contanti che serviranno per pagare i fornitori di latte che non ammettono ritardi.
Sofia (Luisa Ranieri) è la figlia di Ciccio DOP ed è sposata (poco felicemente) con Angelo Tatangelo (Massimiliano Gallo), idolo dei cantanti neomelodici locali e che canta sempre più di rado alle varie cerimonie.
Autilia (Aida Turturro) è una romantica amante, tanto tradita e abbandonata quanto generosa quando il suo ex le si riavvicina.
Gravinio (Tony Laudadio) è uno dei soci di Ciccio DOP.
Dudo (Massimiliano Rossi) è un campione di pallanuoto, espulso da ogni campionato dopo un match costato la vita ad un avversario e che ha cominciato a lavorare per una società di recupero crediti.
Singolarmente sembrano tutte brave persone che conducono un’esistenza normale. Ma gli incontri della notte, seguita ad una domenica sera come tante altre, cambieranno per sempre le loro vite.
Questi i personaggi che vanno a comporre il quadro di “Mozzarella Stories”, commedia colorata e grottesca dalle atmosfere un po’ nere, firmata da un debuttante sul grande schermo come Edoardo De Angelis, a cui si aggiunge lo zampino di un veterano del cinema in veste di produttore (il regista bosniaco Emir Kusturica) appassionato, a quanto pare, di tradizioni e di storia italiana partenopea.
Prima commedia malavitosa a base di caglio e mozzarelle variopinte (a cui la cronaca italiana ci ha abituati negli ultimi mesi), il regista esordiente sul grande schermo e che sembra promettere molto bene (cresciuto proprio nella provincia rinomata per la produzione di latticini), seguendo le linee guida tracciate dalla commedia all’italiana e raccontando personaggi ispirati ad una realtà superata in quanto frutto di finzione, popolata da figure eccentriche e costruite in prospettiva comica, ci racconta qualcosa di moderno, ma dal sapore antico e pervaso dalle nuove strategie di marketing, a cui il mercato contemporaneo ci ha obbligato se non si vuol rischiare di soccombere sotto i suoi ferrei diktat.
Licenziando un film di indubbio interesse, il castello solidamente edificato dal regista si sostiene grazie ad una storia di donne, ad una storia di formaggio fresco a base di latte di bufala, rinomato in tutto il mondo (gustatevi la sequenza iniziale del bagno in piscina dove, all’improvviso, piovono in acqua un’infinità di deliziose mozzarelle), a vicende di camorra e a quelle di un’umanità smarrita e lacerata.
Lungometraggio d’esordio, dicevamo, dove, dietro la macchina da presa,  troviamo Edoardo De Angelis, il film esplora un mondo malinconico e pieno di ironia (quello della Regione Campania, dominata dalle grande tradizioni) sotto il quale incombe la consapevolezza che tutto, in un modo o nell’altro, è destinato a finire.
Consegnandoci l’emozionante ritratto di un mondo dominato da figure di donne uniche ed interessante per come scruta e spiega il profilo psicologico femminile, volendo scovare nel sottotesto il consueto messaggio morale, possiamo dire che “Mozzarella Stories” si risolve nella celebrazione di una femminilità fortemente voluta dal regista (“Ho sempre adorato l’universo femminile in quanto dolorosamente consapevole di non riuscire a comprenderne fino in fondo il mistero”).
Un mondo, quello femminile, votato alla creazione di nuove prospettive, in grado di gestire organizzazioni complesse molto meglio di quanto non facciano gli uomini (vedasi il finale del film), grazie a quel livello di risolutezza e libertà (rispetto all’universo maschile che fatica a guardare oltre alle dinamiche esistenti) che forse susciterà qualche dibattito e diverbio tra le mura domestiche.
Ma il cinema è bello anche per questo: per litigare in famiglia.

Piergiorgio Ravasio

Come ammazzare il capo e vivere felici

18 agosto 2011

RECENSIONE
Titolo originale: Horrible Bosses
Regia: Seth Gordon
Cast: Jennifer Aniston, Jason Bateman, Charlie Day, Jason Sudeikis, Colin Farrell, Jamie Foxx, Kevin Spacey, Julie Bowen, Donald Sutherland, Lindsay Sloane, Kevin Pennington, John Francis Daley
Genere: Commedia
Paese: USA
Anno: 2011
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Uscita: 17/08/2011
7

Quasi tutti, almeno una volta nella vita, avranno avuto un capo orribile che ha reso la loro esistenza insopportabile.
Senza, chiaramente, porre in atto chissà quale piano diabolico, ad ognuno di noi sarà venuta la tentazione di immaginare quanto sarebbe meglio la vita se non ci fosse più il nostro diretto superiore.
E questo è ciò che capita a tre amici, il cui senso di frustrazione li porterà a lottare per la propria dignità. Tipici impiegati di periferia che fanno del meglio nella loro vita ma che sono intrappolati e resi vittime dai loro capi in modo perfido, fino a quando proprio non ne possono più. Umiliati e bistrattati, ma in alcun modo assassini di natura, decidono sia arrivato il momento di liberarsi dai propri tormentatori.
Jason Bateman (“Paul”, “Due cuori e una provetta”, “Tra le nuvole”) è Nick: ritratto dell’uomo virtuoso e riservato che
arranca accanto ai suoi stanchi colleghi nell’inutile speranza di una meritata promozione.
Charlie Day (“Amore a mille … miglia”) è Dale: il romantico dei tre. E’ felicemente fidanzato, lavora in uno studio dentistico ed è quotidianamente sottoposto alle morbose attenzioni della sua principale.
Jason Sudeikis (“Libera uscita”, “Il cacciatore di ex”, “Notte brava a Las Vegas”) fa la parte del seduttore Kurt: contabile in una ditta chimica, la cui proprietà passa dal padre (una fugace comparsa del Donal Sutherland della satira politica “MASH” e del dramma intimista “Gente comune”) al figlio cocainomane ed interessato solamente ad affossare il progetto del padre ed a sperperarne i quattrini.
I tre si incontrano una sera in birreria e si sfogano delle loro disperate situazioni. “Questi tre pezzi di m…. dovranno comunque morire un giorno. Noi non faremo altro che accelerare un processo naturale. Avete mai sentito parlare di omicidio giustificato? Sarebbe immorale non ucciderli”. Dalle parole ai fatti ci vuole poco. Non avendo alcuna qualifica né esperienza per concretizzare il loro piano, l’idea migliore sembra quella di reclutare un ex detenuto dal nome in codice alquanto bizzarro (Fottimadre Jones) a cui dà il volto il Jamie Foxx-Ray Charles dell’omonima pellicola: un delinquente dalla testa tatuata, stivali a punta, consulente di delitti e impresario del crimine.
Riusciranno i nostri eroi a mettere in atto il loro piano diabolico?
Per quanto immaginabile, si innescheranno una serie di eventi concatenati che, portando la storia ad un ritmo sempre più folle e frenetico, condurranno i protagonisti ad un punto di non ritorno in quanto i loro piani non andranno mai per il verso giusto.
Con un occhio strizzato alla recente commedia “Una notte da leoni”, il regista di “Tutti insieme inevitabilmenteSeth Gordon,
esperto a trovare il lato comico nelle situazioni quotidiane più disparate, confeziona un film divertente ed attuale; una commedia dai toni grotteschi, surreale e fantasiosa, con un approccio disinvolto e, tra un pop-corn e l’altro, pieno di umorismo.
All’ottima chimica e complicità che si crea fra i tre protagonisti, fanno da spalla anche i rispettivi perfidi capi: la tirannia di Kevin Spacey, l’ego smisurato di un irriconoscibile Colin Farrell e la predatrice leonessa, affamata di uomini, senza alcun freno inibitorio, Jennifer Aniston (in un ruolo che, fino ad ora, non avremmo mai immaginato).
Tutti insieme appassionatamente per un film che non ha un vero messaggio (e forse è meglio), se non quello che cattivi si nasce – e non si diventa – per compiere certe cose.
A volte è bello anche solo così: una serata al cinema, all’insegna del divertimento, magari dopo una cena organizzata a livello d’ufficio. E mi raccomando: questa volta non dimenticate il capo a casa!

Piergiorgio Ravasio

Per sfortuna che ci sei

25 giugno 2011

RECENSIONE
titolo originale: La chance de ma vie
regia: Nicolas Cuche
cast: Virgin Efira, Francois-Xavier Demaison, Armelle Deutsch, Raphael Personnaz, Yves Jacques, Brigitte Rouan, Thomas N’Gijol
genere: Commedia
paese: FranciaBelgio
anno: 2010
durata: 101
distribuzione: Moviemax
uscita: 13/07/2011

7

Julien Monnier (Francois-Xavier Demaison), il protagonista di questa storia, ha le stigmate del tenero iellatore: è un consulente matrimoniale che, per una terribile ironia del destino, non riesce a stare con una donna perché tutte le sue amanti sono travolte da una tremenda sfiga. Consapevole di questo suo difettuccio, Julien cerca addirittura di stare alla larga dalle donne che potrebbero piacergli. Chiunque si metta per un momento nei suoi panni, potrà immaginare l’insostenibilità della situazione. Dopo una breve panoramica sui flagelli che il romantico untore ha inflitto alle sue donne nel corso di una trentina di anni di vita, appare sullo schermo la sua bellissima prossima vittima, Joanna Serini (interpretata da Virginie Efira già vista quest’anno in Kill me, please). Quando i due iniziano a frequentarsi la domanda che ci si pone è: può l’amore essere più forte della malasorte?

Europeo di nascita, ma hollywoodiano per vocazione, Per sfortuna che ci sei, diretto da Nicolas Cuche, è un film sopra le righe – con qualche eccesso demenziale – che cerca di trovare un modo ultra-leggero di parlare d’amore. Ci riesce solo in parte, perché dopo un inizio scoppiettante (con qualche ustione e gravi ferite), il film si assesta su ritmi e modi più consueti, pur continuando a riservare qualche tragicomica sorpresa. Intelligente la caratterizzazione dei due personaggi principali, grazie soprattutto alla capacità dei due attori di incarnare l’alchimia al limite tra amicizia spensierata e tenerezza romantica. La sceneggiatura segue passo passo il classico schema della commedia romantica, mentre la regia riusa espedienti che sono ormai diventati cliché di genere. Contro l’effetto dejà-vu interviene una originalissima colonna sonora in inglese, ma con una musicalità molto francese, interpretata dalle voci di Sonia e Felix.

Il finale conciliatore, praticamente d’obbligo per le commedie da botteghino, sembra lanciare il messaggio che in fondo, quando c’è l’amore, si deve vedere attraverso occhiali di rosa dipinti anche nella catastrofe più completa.

Maria Silvia Sanna

Paul

25 giugno 2011

RECENSIONE
titolo originale: Paul
regia: Greg Mottola
cast: Nick Frost, Simon Pegg
genere: Commedia, Fantascienza, On The Road
paese: Gran Bretagna
anno: 2011
durata: 104
distribuzione: Universal Pictures
uscita: 1/06/2011
7

Due amici appassionati fantascienza partono per gli Usa per il Comicon di San Diego, fiera dei fumetti di cui sono appassionati. Ma quando attraversano il deserto del New Mexico incontrano un alieno, che a differenza delle convinzioni della gente è amichevole e molto “umano”. L’alieno era tenuto prigioniero dalla fine degli anni quaranta in una base militare e quando riesce a fuggire si unisce ai due umani in una avventura on the road per tornare a casa.
Il regista Greg Mottola ha fatto un divertente prodotto di rielaborazione del tema dell’alieno, che nella maggior parte dei casi viene dipinto come l’invasore che tenta di distruggere l’umanità oppure come una creatura delicata e gentile che di solito interagisce con bambini o con chi ha l’innocenza nel cuore. In Paul l’alieno si incontra/scontra invece con due nerd grandi, grossi e inglesi, il cui modo di pensare non coincide propriamente con quello della gente comune: vedono il mondo attraverso occhi da bambino, ma la mentalità infantile non equivale a stupidità.
La comicità dell’alieno Paul riveste il ruolo fondamentale del film, che si fonde terribilmente bene con l’ironia infantile e la mentalità “instupidita” e nerd dei due protagonisti: Paul non sembra affatto un alieno, sebbene le sembianze del “grigio” (tipologia inquietante di extraterrestre che nell’immaginario fantascientifico attua catture ed esperimenti su esseri umani) possano sembrare ostiche. Il suo carattere è cinico e disincantato, e di fronte alle esagerazioni della società umana non si scompone mai. La sua realizzazione tecnica è impeccabile, i movimenti fluidi e realistici, mentre per quanto riguarda il doppiaggio in italiano la scelta di utilizzare la voce di Elio e azzeccata perchè riesce a valorizzare gli elementi dissacranti del film.
Paul è un lavoro di citazioni, che per gli amanti della fantascienza balzano all’occhio con incredibile sarcasmo, mentre per chi non è immerso nel genere comunque vengono notati e apprezzati (in particolare viene preso di mira il cinema di Steven Spielberg, con l’immancabile E.T.). A guidare lo spettatore sono gli attori Simon Pegg e Nick Frost, che indubbiamente hanno fatto un lavoro di interpretazione quasi folle, risaltando il concetto fondamentale di tutto il film: i veri alieni sono coloro che, rispetto a una società sorda e cieca, sanno apprezzare la diversità della vita. In fin dei conti, non c’è niente di male nell’essere alieni

Riccardo Rudi

Cars 2

22 giugno 2011

RECENSIONE
titolo originale: Cars 2
regia: John Lasseter, Brad Lewis
cast: Owen Wilson, Tony Shaloub, Larry The Cable Guy, John Turturro, Emily Mortimer, Michael Caine, Joe Mantegna
genere: Commedia/Animazione
paese: USA
anno: 2011
durata: 120
distribuzione: Walt Disney Pictures
uscita: 22/06/2011
5

Come Wes Craven ci ha insegnato, un sequel che si rispetti non può prescindere dalla moltiplicazione e il potenziamento di quegli elementi che avevano decretato il successo del primo. Non fa eccezione a queste regole neppure il mondo dell’animazione, come testimonia il secondo capitolo di Cars, nel quale John Lasseter e soci, forti dell’exploit del 2006, ripropongono la stessa formula vincente, premendo il pedale dell’acceleratore in direzione di una maggiore spettacolarità.
I tratti sono quelli caratteristici e impeccabili del brand Pixar: regia  (dello stesso Lasseter, coadiuvato dal veterano Brad Lewis) brillante e dinamica, animazione strabiliante nel dare credibilità a un mondo interamente a quattro ruote, immancabile retroterra edificante disneyano, qui improntato ai valori dell’amicizia e della lealtà. A rendere il tutto più roboante provvede il plot che mette da parte le consuete sfide automobilistiche del protagonista Saetta McQueen, alle prese con un temibile avversario italiano invincibile e sbruffone, a favore di un’inedita spy-story che vede il suo amico sempliciotto Carl Attrezzi, detto Cricchetto, coinvolto suo malgrado in un complotto internazionale che lo catapulterà in una serie di rocambolesche avventure in giro per il mondo.
Ed è proprio sul verante della storia che, paradossalmente, emergono le magagne di un prodotto troppo teso ad attingere quegli stessi meccanismi efficaci del precedente, quanto incapace di gestire con mano ferma le novità: così, se il racconto arranca sotto il peso di un affastellamento episodico di gag improntate ad uno humor esclusivamente infantile, poco felice si rivela la scelta di affidarne i comandi ad un personaggio-spalla come il malcapitato Cricchetto, la cui caratterizzazione macchiettistica e bambinesca si rivela del tutto inadeguata nel mantenere l’appeal della vicenda.
Ne fanno le spese il ritmo, dissipato in due eccessive ore di tempi morti e inutili orpelli di contorno alle pur mirabolanti scene d’azione, e lo stesso divertimento, che trova appagamento soltanto nella miriade di citazioni e riferimenti e nelle geniali trovate legate all’antropomorfizzazione di un universo di motori, declinato per l’occasione nelle sue varianti geografiche.
Ad appesantire il tutto, provvede infine lo scellerato doppiaggio dell’edizione italiana che vanifica il lavoro degli interpreti originari (del calibro di Owen Wilson, John Turturro, Tony Shaloub, Emily Mortimer e Michael Caine) raggiungendo il nadir con l’irriducibile antipatia di Alessandro Siani e l’imbarazzante quanto inutile cameo vocale di Sofia Loren.

Caterina Gangemi

Zack e Miri – Amore a primo sesso

4 giugno 2011

RECENSIONE
titolo originale: Zack e Miri make a porno
regia: Kevin Smith
cast: Seth Rogen, Elizabeth Banks, Traci Lords, Jason Mewes, Katie Morgan, Ricky Mabe
genere: Commedia
paese: USA
anno: 2008
durata: 101
distribuzione: M2 Pictures
uscita: 01/07/2011

7

Amici di vecchia data, Zack e Miri condividono un piccolo apartamento a Pittsburgh. Corpulento ed erotomane lui, goffamente graziosa lei, entrambi squattrinatissimi e alle prese con montagne di bollette da pagare, dopo averle tentate tutte pur di sbarcare il lunario, decidono di giocarsi un’ultima carta: quella del porno amatoriale. Così, trovata la location e messo insieme uno sgangherato staff, i due si preparano al primo ciak, tra rocamboleschi incidenti e inattesi imprevisti.

A cinque anni di distanza da 40 anni vergine, l’interprete di punta del cinema americano più irriverente Seth Rogen ritrova la compagna di avventure Elizabeth Banks  in questa nuova, divertente commedia diretta, scritta e montata dal regista di Clerks Kevin Smith, che li vede al fianco – tra gli altri – dell’ex star dell’hard Traci Lords e del fido Jason Mewes, l’indimenticato Jay, partner di Silent Bob.

Volgarissimo, sboccato, spesso politicamente scorretto, Zack e Miri, amore…a primo sesso! Si dipana a tutti gli effetti, e per restare sul tema, secondo gli alti e bassi di uno di quei rapporti sessuali agognati da tempo all’insegna delle migliori aspettative. E se la partenza è di quelle col botto al gusto di Viagra, in un susseguirsi sincopato ed esilarante di turpiloquio, spassose citazioni, gag scatologiche e trovate irresistibili, basta il primo cenno di svolta sentimentale per far retrocedere e ammosciare il tutto, come in una sorta di coitus – suo malgrado- interruptus, riconducendolo con furbetteria vagamente ipocrita, entro un binario più rassicurantemente prevedibile.

Certo, Smith è ben lontano dai Farrelly, ma quegli amanti di un certo humor sfacciato e senza compromessi che non riusciranno a far meno di chiedersi cosa ne sarebbe stato dello stesso soggetto nelle mani degli autori di Tutti pazzi per Mary, troveranno ciononostante sicuro appagamento in sequenze memorabili e già in odor di cult: su tutte la scelta del titolo e il reclutamento del cast, con tutto il suo assortimento di personaggi bizzarri e improbabili.

Consigliatissimo a tutti coloro che si sono sempre chiesti cosa fosse un Timone Olandese, ma non hanno mai osato chiedere.

 Caterina Gangemi