Posts Tagged ‘fantascienza’

Super 8

10 settembre 2011

RECENSIONE
regia: J.J. Abrams
cast: Joel Courtney, Elle Fanning, Kyle Chandler, Ron Eldard
genere: Fantascienza, Thriller, Dramma
paese: USA
anno: 2011
durata: 112
distribuzione: Paramaunt Pictures
uscita: 09/09/2011
voto: 7

Fine degli anni ’70: un gruppo di ragazzi sta girando uno zombie movie per un concorso di corti amatoriali. Joe Lamb e i suoi amici decidono di girare una scena con la ragazza più bella della scuola nei pressi di una stazione. Proprio lì, al passaggio del treno, avviene un misterioso disastro ferroviario che distrugge totalmente la tranquillità della piccola città in cui vivono. La scomparsa di persone, eventi straordinari, l’arrivo di squadre militari sono il preludio di qualcosa che cambierà il destino di Joe Lamb.
Dopo la geniale rivisitazione di Star Trek, J.J. Abrams torna sul grande schermo con un film molto atteso dalla critica e dal pubblico, che rispolvera la fantascienza spielberghiana in chiave contemporanea. Conosciuto specialmente come l’ideatore di Lost, J.J. Abrams racchiude in Super 8 tematiche a lui care e che riprende molto spesso nelle sue creazioni: come la fantascienza in chiave mistica e mitologica, legata alla quotidianità di persone comuni; la passione per i dettagli vintage degli anni settanta come i film, proiettori e oggetti simili; e l’idea che il mistero non può essere compreso, quindi non deve essere spiegato.
Prima di essere un film di fantascienza, Super 8 è un film che parla della difficoltà di crescere e di trovare il proprio posto nel mondo dopo una tragedia. L’aspetto drammatico si struttura sul rapporto padre/figlio e sullo scontro generazionale e affettivo tra Joe Lamb e suo padre, vicesceriffo della città, che dopo la morte della moglie si trova a badare al figlio; il divario e le incomprensioni tra i due saranno una costante molto importante che determinano il pathos principale della trama.
Super 8 basa la sua ragion d’essere sull’operazione nostalgica messa in atto dal regista che vuole riproporre un tipo di cinema di fantascienza caratterizzato dal punto di vista semplice e umano; è evidente la sintesi dell’estetica e dello stile di Steven Spielberg, riassumendo film come Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. in chiave horror e adrenalinica.
Si può dire che in Super 8 ci sia il (solito) bambino dei film di Spielberg che affronta situazioni da adulti con lo spirito avventuriero dei The Goonies, tutto questo visto attraverso gli occhi giovani e televisivi di J.J. Abrams. Per questo il film può risultare povero di innovazioni e di contenuti. Inoltre cade in una inconcludenza narrativa che molti noteranno ma a cui non daranno importanza: il film non risponde alle domande che, intenzionalmente, vengono poste durante la storia, illudendo lo spettatore che alcune questioni fantascientifiche vengano risolte. Ma l’aspetto irrisoluto della storia viene messo da parte, in maniera furba, valorizzando l’aspetto umano e sentimentale della trama: ciò che viene concluso è il dramma emotivo e la crescita verso l’età adulta del protagonista che, grazie al supporto del gruppo di amici e al padre, lascerà andare il passato per proiettarsi nel futuro. Lo spettatore accetta di buon grado questo approccio sentimentale, anche perchè J.J. Abrams è molto bravo a sviare il discorso fantascientifico a favore delle lacrime e degli addii.

Riccardo Rudi

Lanterna Verde

31 agosto 2011

RECENSIONE
Titolo originale: Green Lantern
Regia: Martin Campbell
Cast: Ryan Reynolds, Blake Lively, Peter Sarsgaard, Tim Robbins, Mark Strong, Angela Bassett, Mike Doyle, Jon Tenney, Leanne Cochran
Genere: Azione
Paese: USA
Anno: 2011
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Uscita: 31/08/2011
6

E’ già da qualche anno che produttori e distributori ci hanno abituato, nel corso di ogni stagione cinematografica, a propinarci eroi e supereroi di ogni specie e natura. Ispirati a fumetti, piuttosto che trasposizioni di graphic novels, o addirittura senza rifarsi alla carta stampata; mutanti o no, il grande schermo ci ha regalato di tutto e di più.
Personaggi che hanno fatto la storia del genere avventuroso affidato ad un supereroe. Da quelli più recenti, come il remake di “Conan il barbaro” e “Captain America”, senza tralasciare gli “X-Men”, passando per “I fantastici 4”, “Iron Man”, “Hulk”, “Thor” e i vari “Uomo ragno”, “Superman” o “Batman”.
Che si tratti di Marvel piuttosto che DC Comics, siamo, comunque, sempre circondati da personaggi con capacità fisiche e mentali fuori dal comune (spesso vulnerabili pure loro, in quanto, come tutti noi, limitati da qualche inevitabile punto debole) ma pur sempre profuse nell’eterna lotta del Bene contro il Male.
Dalla tuta superdecorata con ragnatele, passiamo oggi alla tutina verde smeraldo luccicante che il regista di due 007 (“Casino Royale” e “007 Goldeneye”, oltre al più recente “Fuori controllo”) Martin Campbell fa indossare al redivivo Ryan Reynolds, pilota d’aereo dal carattere un po’ difficile di nome Hal Jordan che, dopo essere stato “Sepolto vivo”, si erge ora a paladino cosmico.
Le Lanterne Verdi, strenui difensori di pace e giustizia, sono un corpo intergalattico che vive sul Pianeta OA. Ognuno dei 3600 mondi in cui è diviso il loro universo ha un guardiano con una missione importante: proteggere e mantenere ordine nella galassia, difendendola dagli attacchi nemici. Tra questi ultimi vi è Parallax che, recluso e poi avaso, uccide Abin Sur: una tra le Lanterne più importanti e rinomate. Prima di morire, però, Abin Sur dovrà trovare il suo successore; colui al quale trasferire il proprio Anello (e acclusa lanterna) che conferisce, al possessore, il potere telepatico di concretizzare quanto la sua mente decide di fare in quel preciso istante. E lo troverà nientemeno che da noi; su quel Pianeta Terra, popolato da una razza (gli umani) fino ad ora invisi alle Lanterne stesse.
Dopo una fase di addestramento sul Pianeta OA, Jordan fa ritorno sulla terra dove incontra Hector Hammond, un biologo amico di infanzia, infettato mentre esamina il corpo di Abin Sur e che passa dalla parte dei cattivi.
La vicenda ormai è quella fin troppo consolidata: protagonista dalla situazione familiare un po’ sofferta, scoperta dei superpoteri sotto il fisico palestrato del belloccio di turno, esaltazione per il ruolo di salvatore, consueta love story (poco esaltante) e dispendio dei soliti effetti speciali in salsa 3D.
Tra il colore verde dei buoni, simbolo di bontà e quello giallo dei cattivi, simbolo della paura, la pellicola procede con il ritmo di un semaforo ma senza alcuno stop (punto morto). Tutto scorre fluidamente andando a finire esattamente dove ce lo si aspetta: il classico copione del film di fantascienza di puro intrattenimento.
E il sequel è già in fase di elaborazione.

Piergiorgio Ravasio

Transformers 3

28 giugno 2011

RECENSIONE
titolo originale: Transformers: Dark of the Moon
regia: Michael Bay
cast: Shia LaBeouf, Josh Duhamel, Rosie Huntington-Whiteley, John Malkovich, Hugo Weaving
paese: USA
anno: 2011
durata: 156
distribuzione: Universal Pictures
uscita: 28/06/2011
voto: 8

 

Alla fine, il ciclone 3D ha investito anche la serie Transformers.

Proprio così, per il terzo capitolo della costosissima saga cinematografica incentrata sui giocattoli trasformabili che l’industria americana Hasbro, a metà anni Ottanta, acquistò dalla giapponese Takara per poi renderli anche protagonisti – con il coinvolgimento della Marvel Comics – di strisce disegnate e serie a cartoni animati, il regista Michael Bay, già autore dell’ottimo capostipite datato 2007 e del passabile sequel Transformers-La vendetta del caduto, di due anni dopo, ha deciso di fare ricorso alla visione tridimensionale.
Quindi, se nel primo film eravamo venuti a conoscenza del giovane Sam Witwicky alias Shia LaBeouf, ignaro di essere l’unico ed assoluto responsabile della sopravvivenza degli esseri umani all’interno di una guerra tra robot alieni divisi in buoni Autobot e malvagi Decepticon, continuamente in lotta per il futuro dell’universo, e nel secondo lo avevamo visto tornare a combattere a causa dell’inaspettata ricomparsa sulla Terra del temibile Megatron, dato per morto, questa volta bisogna inforcare gli appositi occhialini per gustare a dovere le oltre due ore e mezza di visione; le quali promettono azione e dispendio di eccellenti effetti digitali già a partire dal prologo, che anticipa le immagini del viaggio intrapreso da Neil Armstrong sulla Luna, all’inizio degli anni Sessanta.
Perché, ancora una volta coadiuvata dalla produzione esecutiva di Steven Spielberg, in questo caso la vicenda svela che le missioni Apollo erano state in realtà organizzate dagli americani, all’epoca, per scoprire cosa accadde quando un’astronave degli Autobot si schiantò sul nostro satellite.
Quindi, fuori Megan Fox e dentro la televisiva Rosie Huntington-Whiteley nei panni di Carly, nuova fidanzata del protagonista, è Shockwave, tiranno di Cybertron, il pericoloso nemico da affrontare per la salvezza del mondo; man mano che il cast, oltre a recuperare dai tasselli precedenti John Turturro, Josh Duhamel e Tyrese Gibson, si arricchisce di volti noti, dal premio Oscar Frances McDormand a John Malkovich, passando per Patrick Dempsey.
E Bay, che, come già fece per Armageddon-Giudizio finale, inserisce nella colonna sonora Sweet emotions degli amici Aerosmith, non dimentica, ovviamente, le sue tipiche esaltazioni del patriottismo a stelle e strisce e del machismo di stampo militarista; pur senza rinunciare a tutt’altro che invadenti spruzzate d’ironia (si pensi solo alla madre di Sam, il cui comportamento ricorda sempre più quello della Barbra Streisand di Mi presenti i tuoi?), mentre sembra quasi suggerire, tra l’altro, che i conflitti bellici possono essere scatenati in maniera tranquilla dal fraintendimento dell’affermazione che vuole la libertà quale diritto di tutti.
Oltre a lasciar (intra)vedere una certa allegoria relativa alla pericolosità dell’evoluzione tecnologica ed a dare il meglio – come nei due episodi precedenti – nel corso dei lunghi, spettacolari ed emozionanti momenti di scontro per le strade della metropoli, che tanto sembrano incarnare una moderna rilettura ad altissimo budget dei kaiju eiga con protagonisti Godzilla e derivati.
Per un elaborato che, tra buone trovate volte alla spettacolarità (da antologia la sequenza del grattacielo in pendenza prossimo al crollo) ed inaspettati risvolti di sceneggiatura (fatto strano, visto che a firmarla è il mediocre Ehren Kruger), riesce addirittura a raggiungere le vette del riuscitissimo capostipite, ritraendo le creature robotiche fornite perfino di una certa umanità e presentando, quando necessario, i connotati di un vero e proprio incubo futuristico su pellicola.
Con notevole senso del ritmo e l’intento di ribadire che l’essere umano può perdere fiducia nelle macchine, ma mai in se stesso.

Francesco Lomuscio

Paul

25 giugno 2011

RECENSIONE
titolo originale: Paul
regia: Greg Mottola
cast: Nick Frost, Simon Pegg
genere: Commedia, Fantascienza, On The Road
paese: Gran Bretagna
anno: 2011
durata: 104
distribuzione: Universal Pictures
uscita: 1/06/2011
7

Due amici appassionati fantascienza partono per gli Usa per il Comicon di San Diego, fiera dei fumetti di cui sono appassionati. Ma quando attraversano il deserto del New Mexico incontrano un alieno, che a differenza delle convinzioni della gente è amichevole e molto “umano”. L’alieno era tenuto prigioniero dalla fine degli anni quaranta in una base militare e quando riesce a fuggire si unisce ai due umani in una avventura on the road per tornare a casa.
Il regista Greg Mottola ha fatto un divertente prodotto di rielaborazione del tema dell’alieno, che nella maggior parte dei casi viene dipinto come l’invasore che tenta di distruggere l’umanità oppure come una creatura delicata e gentile che di solito interagisce con bambini o con chi ha l’innocenza nel cuore. In Paul l’alieno si incontra/scontra invece con due nerd grandi, grossi e inglesi, il cui modo di pensare non coincide propriamente con quello della gente comune: vedono il mondo attraverso occhi da bambino, ma la mentalità infantile non equivale a stupidità.
La comicità dell’alieno Paul riveste il ruolo fondamentale del film, che si fonde terribilmente bene con l’ironia infantile e la mentalità “instupidita” e nerd dei due protagonisti: Paul non sembra affatto un alieno, sebbene le sembianze del “grigio” (tipologia inquietante di extraterrestre che nell’immaginario fantascientifico attua catture ed esperimenti su esseri umani) possano sembrare ostiche. Il suo carattere è cinico e disincantato, e di fronte alle esagerazioni della società umana non si scompone mai. La sua realizzazione tecnica è impeccabile, i movimenti fluidi e realistici, mentre per quanto riguarda il doppiaggio in italiano la scelta di utilizzare la voce di Elio e azzeccata perchè riesce a valorizzare gli elementi dissacranti del film.
Paul è un lavoro di citazioni, che per gli amanti della fantascienza balzano all’occhio con incredibile sarcasmo, mentre per chi non è immerso nel genere comunque vengono notati e apprezzati (in particolare viene preso di mira il cinema di Steven Spielberg, con l’immancabile E.T.). A guidare lo spettatore sono gli attori Simon Pegg e Nick Frost, che indubbiamente hanno fatto un lavoro di interpretazione quasi folle, risaltando il concetto fondamentale di tutto il film: i veri alieni sono coloro che, rispetto a una società sorda e cieca, sanno apprezzare la diversità della vita. In fin dei conti, non c’è niente di male nell’essere alieni

Riccardo Rudi

Gamer

28 marzo 2010

Locandina Italiana GamerANTEPRIMA/RECENSIONE
titolo originale: Gamer
regia: Mark Neveldine, Brian Taylor
cast: Gerald Butler, Michael C. Hall, Amber Valletta, Logan Lerman, Alison Lohman, Terry Crews, Zoë Bell, Kyra Sedgwick
genere: Sci-fi
paese:  USA
anno: 2009
distribuzione: Moviemax
durata: 95′
uscita nelle sale: 02/04/2010
5

Se nel nostro immaginario all’origine di tutti i film c’è un: “Ciak, si gira!”, Gamer fa eccezione. Possiamo quasi vedere Mark Neveldine e Brian Taylor (l’accoppiata di registi e sceneggiatori di Crank, 2006) cominciare la lavorazione del loro ultimo film al grido di: “Press Start. Loading…”. La loro idea è quella di raggiungere la massima contaminazione tra videogame e cinema, anzi, toccando il culmine dell’estremizzazione, tra videogame e realtà. D’altra parte, l’estremo sembra la categoria cui i due registi americani aspirano: senza aver troppa cura della sceneggiatura e della trama, mirano soprattutto allo shock. Shock visuale, ma anche etico: sesso, violenza e marciume bombardano lo spettatore dall’inizio alla fine del film. Senza tregua. Almeno fino al “Game Over”.
Futuro prossimo. Al di sopra degli Stati, al di sopra della dignità umana, c’è l’industria dei media. I videogame sono diventati uno strumento di dominio sociale e persino la democrazia è al soldo dell’enterteinment. Avete presente The Sims? Ecco, l’idea di fondo di questo film è che al posto di avatar virtuali ci siano persone reali, comandate tramite controller da giocatori che stanno stravaccati su un divano a ingozzarsi di cibo e sbavare. E che cosa vorrebbero vedere/provare i giocatori se avessero a disposizione corpi reali? Sesso, ovvio. Society, il videogame/reality ideato dall’ultramiliardario Ken Castle (interpretato da Michael C. Hall), è il luogo in cui vengono realizzate tutte le segrete perversioni e manie dei giocatori in panciolle. L’idea di Castle è però molto più pervasiva e va ben oltre questo gioco dai discutibili presupposti morali. Dopo Society viene inaugurato Slayer. I principi sono gli stessi, solo che in questo caso le pedine umane sono condannati a morte che giocano a una simulazione di guerra. Scopo del gioco è restare in vita per venti battaglie: chi ci riesce guadagna la libertà, gli altri finiscono con budella e cervella per ogni dove. John Tillman (alias Kable), interpretato dal coriaceo Gerald Butler, e sua moglie Angie (nelle scultoree sembianze dall’ex modella Amber Valletta) sono due persone comuni incastrate nel gioco del burattinaio Castle e tutto il film rappresenta il loro percorso verso l’affrancamento e la vendetta.
Neveldine e Taylor rileggono le paure orwelliane alla luce della realtà virtuale. Novità non assoluta, ma efficace se adeguatamente approfondita. Invece, Gamer resta sulla superficie, dandoci appena un assaggio delle potenzialità dei protagonisti e riempendo il resto del tempo con pezzi di carne viva o morta che sia. Arrivare al finale del film è un po’ come giungere alla conclusione di una demo e restare perplessi dalla appiccicosa sensazione di incompletezza.

Maria Silvia Sanna

Il quarto tipo

20 gennaio 2010

RECENSIONE
titolo originale: The Fourth Kind
regia: Olatunde Osunsanmi
cast: Milla Jovovich, Will Patton, Hakim-KaeKazim, Corey Johnson, Enzo Clienti, Elisa Koteas
genere: Fantascienza, horror
paese: USA
anno: 2009
distribuzione: Warner bros. Italia
durata: 98′
uscita: 22/01/2010
7

In giorni come questi, fatti di tragedie dolorosamente reali e di ipotetiche catastrofi preannunciate da cui si ricavano mediaticamente film, libri e trasmissioni televisive di largo consumo, ci mancavano solo gli alieni. Esce infatti in Italia Il quarto tipo, un film che affronta, a metà tra documentario e finzione filmica, la sempre dibattuta, derisa o difesa questione degli alieni.
La storia si svolge in una landa ghiacciata e sperduta dell’Alaska dove la psicoterapeuta Abigail Tyler, (interpretata dalla convinta e convincente Milla Jovovich), che ha perso il marito in circostanze violente e misteriose e vive da sola con i suoi due figli, scopre attraverso le testimonianze dei pazienti che ha in cura delle inquietanti e anomale coincidenze. Tutti i pazienti presentano infatti disturbi del sonno e durante la notte percepiscono rumori e presenze minacciose preannunciate dalla visione di un gufo bianco alla finestra. Durante l’ipnosi a cui la dottoressa li sottopone, ricordano solo a stento, e a prezzo di urla mostruose e crisi tremende, di essere stati trascinati via da queste oscure presenze. Tutto il resto viene rimosso ma continua a tormentare e logorare chi ha vissuto questa terribile esperienza. Il film segue da vicino le sedute di ipnosi, le reazioni brutali dei pazienti, le esperienze simili vissute dalla stessa dottoressa e i vari tipi di incontri-scontri con questi esseri indefinibili e temibili, fino ad arrivare a quello più inspiegabile e illogico: il quarto tipo, ossia il rapimento.
Il film di Osunsanmi è sicuramente ben fatto e curato, basta guardare l’uso ricorrente dello split screen che divide lo schermo in varie parti e separa la finzione filmica dalla “verità”, l’uso di una regia sincopata e lisergica nelle sequenze “paranormali” che non mostra mai l’alieno, (errore in cui incappò M.Night Shyamalan in Signs, dove l’alieno verde in stile pupazzo di cartapesta faceva molto b-movie alla Roger Corman), ma lo evoca con sfocature, bruschi movimenti di macchina e ritmi accelerati. Anche gli attori, pressochè sconosciuti a parte la Jovovich, sono credibili con le loro occhiaie e faccie scavate suscitano paure lontane che richiamano spesso L’esorcista e il filone horror demoniaco.
La paura e l’inquietudine sono gli obiettivi proposti e centrati dal film, dove c’è un pò del mistero di X-Files e un pò dell’amatorialità alla Blair Witch Project, con il ricorso costante a telecamerine portatili e registratori che sembrano vedere, sentire e registrare quello che l’occhio e l’orecchio umano possono a stento percepire. Non c’è traccia degli alieni buoni di Spielberg – nè di quelli pacifici di Incontri ravvicinati del terzo tipo nè del tenero E.T.– , e nemmeno degli alieni sottomessi e ubbidienti del recente District 9; gli alieni di Osunsanmi sono spietati, violenti, potenti e alteri (la loro voce in lingua sumera a un certo punto sembra dire “…io sono Dio…”) e l’uomo è piccolo e indifeso di fronte alla loro sfuggente presenza.
Crederci o no?Solo a noi spettatori spetta decidere, come ci ricordano direttamente Milla Jovovich e il regista alla fine del film. La sensazione che si prova uscendo dalla sala è quella di una costante oscillazione tra la paura e il senso del ridicolo, tra il “e se fosse vero?” e il “sono tutte menzogne!”, tra il tremore e la voglia di ridere e prendere pure un pò in giro chi crede in  tutto questo. Di certo non si resta indifferenti. Il quarto tipo è un film che sfiora e solletica certe paure e idee che albergano in ognuno di noi ma non scrolla nè sbatte con violenza; è un film di poca importanza dal punto di vista sociologico perchè non dice nulla di nuovo e di certamente vero (è science-fiction e mai ossimoro fu più estremo!) e molto probabilmente non scatenerà diatribe mediatiche, ma è un film riuscito dal punto di vista cinematografico perchè non annoia, attira a sè lo spettatore come una calamita e infine lo rapisce.

Margherita Ciacera