Posts Tagged ‘Universal Pictures’

Transformers 3

28 giugno 2011

RECENSIONE
titolo originale: Transformers: Dark of the Moon
regia: Michael Bay
cast: Shia LaBeouf, Josh Duhamel, Rosie Huntington-Whiteley, John Malkovich, Hugo Weaving
paese: USA
anno: 2011
durata: 156
distribuzione: Universal Pictures
uscita: 28/06/2011
voto: 8

 

Alla fine, il ciclone 3D ha investito anche la serie Transformers.

Proprio così, per il terzo capitolo della costosissima saga cinematografica incentrata sui giocattoli trasformabili che l’industria americana Hasbro, a metà anni Ottanta, acquistò dalla giapponese Takara per poi renderli anche protagonisti – con il coinvolgimento della Marvel Comics – di strisce disegnate e serie a cartoni animati, il regista Michael Bay, già autore dell’ottimo capostipite datato 2007 e del passabile sequel Transformers-La vendetta del caduto, di due anni dopo, ha deciso di fare ricorso alla visione tridimensionale.
Quindi, se nel primo film eravamo venuti a conoscenza del giovane Sam Witwicky alias Shia LaBeouf, ignaro di essere l’unico ed assoluto responsabile della sopravvivenza degli esseri umani all’interno di una guerra tra robot alieni divisi in buoni Autobot e malvagi Decepticon, continuamente in lotta per il futuro dell’universo, e nel secondo lo avevamo visto tornare a combattere a causa dell’inaspettata ricomparsa sulla Terra del temibile Megatron, dato per morto, questa volta bisogna inforcare gli appositi occhialini per gustare a dovere le oltre due ore e mezza di visione; le quali promettono azione e dispendio di eccellenti effetti digitali già a partire dal prologo, che anticipa le immagini del viaggio intrapreso da Neil Armstrong sulla Luna, all’inizio degli anni Sessanta.
Perché, ancora una volta coadiuvata dalla produzione esecutiva di Steven Spielberg, in questo caso la vicenda svela che le missioni Apollo erano state in realtà organizzate dagli americani, all’epoca, per scoprire cosa accadde quando un’astronave degli Autobot si schiantò sul nostro satellite.
Quindi, fuori Megan Fox e dentro la televisiva Rosie Huntington-Whiteley nei panni di Carly, nuova fidanzata del protagonista, è Shockwave, tiranno di Cybertron, il pericoloso nemico da affrontare per la salvezza del mondo; man mano che il cast, oltre a recuperare dai tasselli precedenti John Turturro, Josh Duhamel e Tyrese Gibson, si arricchisce di volti noti, dal premio Oscar Frances McDormand a John Malkovich, passando per Patrick Dempsey.
E Bay, che, come già fece per Armageddon-Giudizio finale, inserisce nella colonna sonora Sweet emotions degli amici Aerosmith, non dimentica, ovviamente, le sue tipiche esaltazioni del patriottismo a stelle e strisce e del machismo di stampo militarista; pur senza rinunciare a tutt’altro che invadenti spruzzate d’ironia (si pensi solo alla madre di Sam, il cui comportamento ricorda sempre più quello della Barbra Streisand di Mi presenti i tuoi?), mentre sembra quasi suggerire, tra l’altro, che i conflitti bellici possono essere scatenati in maniera tranquilla dal fraintendimento dell’affermazione che vuole la libertà quale diritto di tutti.
Oltre a lasciar (intra)vedere una certa allegoria relativa alla pericolosità dell’evoluzione tecnologica ed a dare il meglio – come nei due episodi precedenti – nel corso dei lunghi, spettacolari ed emozionanti momenti di scontro per le strade della metropoli, che tanto sembrano incarnare una moderna rilettura ad altissimo budget dei kaiju eiga con protagonisti Godzilla e derivati.
Per un elaborato che, tra buone trovate volte alla spettacolarità (da antologia la sequenza del grattacielo in pendenza prossimo al crollo) ed inaspettati risvolti di sceneggiatura (fatto strano, visto che a firmarla è il mediocre Ehren Kruger), riesce addirittura a raggiungere le vette del riuscitissimo capostipite, ritraendo le creature robotiche fornite perfino di una certa umanità e presentando, quando necessario, i connotati di un vero e proprio incubo futuristico su pellicola.
Con notevole senso del ritmo e l’intento di ribadire che l’essere umano può perdere fiducia nelle macchine, ma mai in se stesso.

Francesco Lomuscio

Biutiful

6 febbraio 2011

RECENSIONE
regia: Alejandro Gonzàles Inàrritu
cast: Javier Bardem, Maricel Alvarez, Eduard Fernández, Cheng Tai Sheng
genere: Drammatico
paese: Spagna
anno: 2011
distribuzione: Universal Pictures
uscita: 04/02/2011
8

 

Uxbal vive due vite parallele: una come padre sensibile, duro nei toni ma delicato nei gesti, che farebbe qualsiasi cosa per proteggere i suoi due figli, Ana e Mateo, e un’altra come uomo che vive della manodopera clandestina. Di fronte a un cancro che lo porterà inevitabilmente alla morte, Uxbal si trova a dover percorrere la strada della redenzione per il bene dei suoi figli, prima che sia troppo tardi.
Esplorare vite e personaggi che si intrecciano in un susseguirsi di eventi paralleli e spezzati è una delle principali caratteristiche della regia di Alejandro Gonzàlez Inàrritu: la temerarietà con cui narra i suoi personaggi lo ha reso un regista interessante, complicato e “globale” nel suo voler parlare molteplici lingue e culture. Se con Babel i personaggi e le etnie convergono in una complessa struttura narrativa, sino a esplodere in una vera e propria babele cinematografica, con Biutiful il regista sembra raggiungere una pace interiore: la storia lineare e incentrata su un solo personaggio e in una sola città rende questo film un’esperienza diversa e più matura rispetto ai film precedenti.
Uxbal è un uomo che affronta una vita difficile, che da un lato non ha scelto e che da un altro ha dovuto scegliere. La luce e l’oscurità che coesistono all’interno di lui lo rendono un padre e criminale. Le contraddizioni che lo avvolgono lo rendono un personaggio crepuscolare, sull’orlo della vita e a un passo dalla morte. Javier Bardem, all’apice della sua espressività, trasmette un senso di tristezza e di rabbia che lo rendono particolarmente affascinante. Barcellona, che gli fa da sfondo, sembra una città difficile, pericolosa, piena di errori e di difetti che Uxbal vive con difficoltà. Sembra quasi che entrambi siano divorati dallo stesso cancro.
Al di là della figura di Uxbal, è interessante come Inàrritu esplori sino all’estremo la situazione dei clandestini: la durezza con cui il lavoro logora le membra dei cinesi nel film è tanto sconvolgente quanto realistica. Le conseguenze di questo affresco si vivono a metà film, quando una terribile tragedia sconvolge ulteriormente la vita di Uxbal e di coloro che ne sono partecipi.
Il senso di colpa del protagonista accompagna lo spettatore in una giostra che si muove senza fine, in un susseguirsi di errori e soluzioni che in maniera quasi convulsiva si scontrano con l’atmosfera di calma stagnante. In Biutiful la linearità, oltre che narrativa, è anche nel montaggio frenetico e a incastro, che a differenza dei film precedenti, viene abbandonato per una linea continua e diretta.
Biutiful è la storia dell’emarginazione sociale, di resti umani che cercano di vivere in un mondo che marcisce nelle fondamenta, sino a rivelare una instabilità che Uxbal cerca di non far vivere ai propri figli, consapevole che la sua eredità di errori cadrà sulle loro spalle.

Riccardo Rudi

L’ultimo dominatore dell’aria

27 settembre 2010

RECENSIONE
titolo originale: The Last Airbender
regia: M. Night Shyamalan
cast: Noah Ringer, Dev Patel, Nicola Peltz, Jackson Rathbone, Shaun Toub
genere: Fantasy, Avventura
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Universal Pictures
durata: 103′
uscita nelle sale: 24/09/2010
6

Quando un regista con uno stile e una poetica personali viene coinvolto in un progetto su commissione non per forza deve uscirne fuori una marchetta: l’esempio di alcuni film di Martin Scorsese o del supremo Hitchcock è in tal senso lampante. M.Night Shyamalan (Il sesto senso, The Village), dopo un paio di film sfortunati ma pregni del suo modo d’autore, decide di dedicarsi a un progetto industriale che strizza l’occhio al fantasy e al kolossal orientale. Riuscendo, non senza difficoltà, a salvare il proprio gusto e la propria visione.
La storia narra di un mondo in cui l’equilibrio tra i quattro elementi (Aria, Acqua, Terra e Fuoco) è stato distrutto dalla violenza del regno del Fuoco: a reggere questo equilibrio c’era un Avatar, dominatore di ogni elemento, scomparso cento anni prima. E che ora torna, ancora bambino, ignaro della difficile situazione. Tratto da una popolare serie animata americana, il film è un tipico fantasy adolescenziale – scritto dallo stesso Shyamalan – che mescola l’impatto colossale di effetti speciali e scenografie (e un inutile 3D posticcio) a un tocco più sottile nella concezione.
Dietro il solito baraccone di battaglie, arti marziali e guerre campali incombenti, il film nasconde una sorta di riflessione sulla formazione di due ragazzi (Aang, l’avatar, ma anche Zuko, principe emarginato del regno del Fuoco) in un mondo competitivo e spietato, nel quale persa l’Arcadia c’è solo la guerra, la prigionia, il tradimento, la rinuncia alla normalità e alla felicità: che coerentemente chiude il suo cerchio senza distruzioni di massa ma con il monito di una natura superiore all’uomo, di un richiamo a fede e responsabilità. Un bel finale, in cui viene a compimento lo sforzo di Shyamalan di dare il suo tocco, la sua intelligenza cinematografica, la sua sensibilità a una materia non proprio nelle sue corde, che guarda a Hong Kong con un qualche impaccio.
A una sceneggiatura sbrigativa, che toglie spesso al film il respiro di saga che dovrebbe (vorrebbe) avere, il regista risponde con un bell’impianto nelle scene d’azione (in continuità, girate con steadycam o piani ravvicinati) non sempre tradotto in eguale slancio e con una certa sincerità di concezione. Un film non del tutto riuscito, ma di sicuro non il disastro annunciato dall’America,  e pazienza se i protagonisti non conoscono l’arte della recitazione (Jackson Rathbone pare costipato come nelle serie di Twilight). L’importante è non aver perso del tutto il talento di un regista.

Emanuele Rauco

Lei é troppo per me

18 giugno 2010

RECENSIONE
titolo originale: She’s out of my league
regia: Jim field Smith
cast: Jay Baruchel, Alice Eve, T. J. Miller, Nat Torrence, Mike Vogel, Krysten Ritter, Debra Jo Rupp
genere: Commedia
paese: Usa
anno: 2010
distribuzione: Universal Pictures
durata: 104
uscita: 18/06/2010
5

Kirk (Jay Baruchel) è un ragazzo come tanti. Non particolarmente aitante, timido e goffo, invischiato in un monotono impiego come addetto alla sicurezza all’aeroporto di Pittsburgh, e in un altrettanto ordinario tran tran quotidiano diviso tra la passione per l’hockey e le serate al bowling. Fino all’incontro con Molly (Alice Eve), rampante organizzatrice di eventi, intelligente, spiritosa e, soprattutto, bellissima. Troppo per l’insicuro Kirk, che si trova costretto a passare repentinamente dal vivere il sogno di ogni uomo medio, alle nevrosi e all’ansia da prestazione dell’uscire con una donna così al di sopra della sua portata. Così, nonostante gli improbabili consigli dagli esiti disastrosi dei suoi amici, e le ingerenze di una famiglia fin troppo allargata, con tanto di ex fidanzata, racchia e petulante, e nuovo compagno di lei, perennemente tra i piedi, Kirk ce la metterà tutta per tenere a sé la bella Molly e superare il suo senso di inadeguatezza.
Già l’idea alla base del plot, lo sfigato alle prese con la bellona, non è tra le più originali, trattandosi di uno dei capisaldi della commedia giovanile americana. Se a ciò, poi, si aggiunge l’assenza di volti noti al pubblico e capaci di attirare le attenzioni verso un soggetto talmente usurato da richiedere, ormai, i più ingegnosi guizzi creativi per poter risultare minimamente accattivante, e una regia affidata a un’esordiente ancora troppo acerbo, appare piuttosto difficile riconoscere un qualche appeal in prodotti come Lei è troppo per me.
Prodotto dalla Mosaic Productions (Elf, Notte brava a Las Vegas) con l’appoggio nientemeno che della Dreamworks Pictures, per la regia del britannico Jim Field Smith, alla sua prima prova nel lungometraggio, il film si pone come una via di mezzo tra la commedia romantica convenzionale, e quella più scollacciata stile American Pie. Il tema della “rivincita del nerd” è infatti il perno intorno a cui ruota tutto l’impianto comico, con tutti gli annessi e connessi della situazione a base di gaffes e imprevisti sessuali che, tuttavia, l’inesperto Field Smith, complice una sceneggiatura sempliciotta, non riesce a padroneggiare con la giusta disinvoltura e il necessario equilibrio tra i due versanti, ridanciano e sentimentale. Il risultato è un avvicendarsi di gag tutte giocate sui maldestri tentativi di Kirk di stare al passo con la disinvolta Molly, e a volte pure divertenti nelle loro incursioni più pecorecce, la cui unica funzione è tuttavia solo quella di allungare un plot  abbastanza scontato e dagli esiti più che prevedibili. E a farne le spese sono purtroppo gli interpreti principali, il protagonista Jay Baruchel (apprezzato in Tropic Thunder), spaesato in ruolo troppo macchiettistico per le sue potenzialità, e l’emergente Alice Eve (una sorta di giovane Sigourney Weaver) le cui doti si sprecano in un perenne sorriso a 32 denti. Ciò non impedisce, al film di risultare a modo suo gradevole, se si è disposti ad accettare l’aura di deja-vu, e strappare qualche spensierata risata, lasciando qualcuno a interrogarsi sulla cruciale questione: “Ma esistono ancora uomini capaci di trasformarsi nell’ultimo dei cretini al cospetto di una biondona procace?”.

Caterina Gangemi

Iron Man 2

30 aprile 2010

RECENSIONE
titolo originale: Iron Man 2
regia: Jon Favreau
cast: Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow, Don Cheadle, Scarlett Johansson, Sam Rockwell
genere: Azione
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Universal Pictures Italia
durata: 124′
uscita: 30/04/2010
6

Con le fattezze dell’eccellente Robert Downey Jr, fu nel 2008 che abbiamo avuto modo di vedere sul grande schermo il geniale Tony Stark, miliardario costruttore di armi a capo delle Stark Industries che, colpito in Afghanistan dalle schegge di una bomba, finiva per ritrovarsi all’interno di una scintillante armatura rossa e gialla nei panni dello svolazzante Iron man, ennesimo paladino del bene targato Marvel comics creato da Larry Lieber e Stan Lee, il quale osserva: “Ciò che mi ha spinto a creare un personaggio come Iron man era il desiderio di vedere qualcosa di diverso rispetto al solito supereroe. Il personaggio di Tony Stark è affascinante, vincente, eppure così vulnerabile, in fondo. Quando abbiamo iniziato a scrivere e a pubblicare i fumetti di Iron man, le donne ci hanno inviato moltissime lettere di approvazione, più di quanto non fosse finora accaduto con gli altri fumetti da noi creati. Immagino che all’epoca, le donne che leggevano i fumetti di Iron man si innamoravano di Tony Stark, così come accade oggi al pubblico femminile che va al cinema e si appassiona a Robert Downey Jr”. E fu lo stesso Lee – presente anche in un immancabile cammeo – a fare da produttore esecutivo del lungometraggio live action incentrato sul supereroe apparso per la prima volta in Tales of suspense, del 1963, e divenuto poi protagonista anche di diverse serie televisive d’animazione. Lungometraggio live action che, ricco di humour e fornito della giusta dose d’azione, ma, allo stesso tempo, non privo di (sotto)testi politici, non presentava altro che le fattezze di riuscito capitolo introduttivo ad una probabile serie, destinata a prendere forma con questa seconda avventura su celluloide firmata, come la prima, dal Jon Favreau autore di Elf (2003) e Zathura-Un’avventura spaziale (2005). Seconda avventura che vede il protagonista – affiancato ancora una volta dalla fida segretaria Pepper Potts alias Gwyneth Paltrow – alle prese non solo con il perfezionamento del costume di Iron man e con il rilancio della stravagante Fiera Mondiale Stark Expo, organizzata da suo padre, ma anche con il pericoloso Ivan Vanko, cui concede anima e corpo l’ottimo Mickey Rourke, oscuro personaggio che, legato al passato della sua famiglia, intende distruggerlo tramite l’uso di una nuova devastante arma ispirata proprio alla tecnologia Stark. Quindi, mentre il governo statunitense insiste affinché Tony consegni la sua rivoluzionaria invenzione ai militari, fanno la loro entrata in scena Samuel L. Jackson nel ruolo di Nick Fury, come già annunciato dopo i titoli di coda del capostipite, e Scarlett Johansson in quelli della Vedova Nera Natalie; nomi volti ad infarcire un buon cast che vede anche il Don Cheadle di Hotel Rwanda (2004) nella parte di James’Rhodey’Rhodes, originariamente interpretato da Terrence Howard. Ma, sebbene la pellicola parta decisamente bene, coinvolgendo lo spettatore anche grazie a una non disprezzabile colonna sonora rock comprendente Clash e AC/DC, non impiega molto tempo ad apparire nettamente inferiore alla precedente. Infatti, se già il primo memorabile scontro con Ivan Vanko sulla pista di un autodromo, dal sapore anni Settanta, presenta evidenti manichini all’interno delle macchine che vengono fatte saltare in aria dal cattivone, il ritmo generale tende ad infiacchirsi perfino in anticipo rispetto alla fine del primo tempo, lasciando tranquillamente avvertire un certo dislivello tra le molte scene di dialogo e le poche d’azione. Solo la consueta spruzzata d’ironia e qualche emozione garantita da alcune sequenze spettacolari consentono all’insieme di rimanere sui livelli della sufficienza… fino ad una sorpresa che, come nel primo Iron man, vi attende dopo i lunghi titoli di coda.

Francesco Lomuscio

Dragon Trainer

26 marzo 2010

RECENSIONE
titolo originale: How to Train your Dragon
regia: Dean DeBlois, Chris Sanders
cast: (voci americane) Jay Baruchel, Gerard Butler, Craig Ferguson, America Ferrera, Jonah Hill
genere: Animazione / Avventura
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Universal Pictures
durata: 98
uscita nelle sale: 26/03/2010
7

Hiccup non ha molto a che spartire con il resto del suo villaggio: troppo mingherlino per reggere mazze chiodate, scudo ed elmi cornuti, troppo basso per imporsi in battaglia, troppo maldestro per non attentare alla vita di suo padre – il possente capo tribù Stoick l’Immenso – e dei suoi compagni, nell’eterna lotta contro i temibili draghi. Non tutti sono tagliati per fare i vichinghi, ma questa triste realtà non gli è mai andata a genio.
Dalla sua parte ha solo ingegno, creatività e un sarcasmo da competizione: tutte qualità che, seppur apprezzabili, servono ben poco a far colpo sui coetanei, prima fra tutti la bella Astrid, o a garantire protezione alle greggi. Talvolta, per raggiungere la verità, bisogna semplicemente cambiare punto di vista. Così, dopo l’incontro con un drago da lui miracolosamente ferito durante un attacco notturno, il mondo di Hic finirà sottosopra, investito da nuove prospettive capaci di rivoluzionare il suo destino e quello del suo popolo.
Il pregiudizio è una brutta bestia, dalla quale nessuno può nascondersi: sia esso il più fine spettatore, che il critico più becero.
Alzino la mano tutti quelli che, leggendo la trama di Dragon Trainer – l’ultima pagnotta sfornata dalla DreamWorks di Katzenberg –, non hanno minimamente pensato: “Che palle, un altro film smielato in cui un piccolo emarginato diventa eroe grazie all’amicizia con la bestiaccia randagia di turno!”.
Sicuramente la maggior parte di voi, in questo momento, avrà le mani al calduccio in tasca, e non a torto.
Effettivamente, così come Hic non ha niente in comune con i suoi fratelli vichinghi, le sue gesta sono quanto di più lontano ci possa essere dal concetto di originalità. Questa, solitamente, sarebbe una discriminante di proporzioni epiche, capace di spingerci alla pubblica lapidazione, assuefatti, come siamo, ad un concetto di animazione che, anno dopo anno, grazie soprattutto alle produzioni Pixar o al favoloso immaginario di Selick e Miyazaki, diventa sempre più sofisticato, ricco e complesso.
Eppure, la brama di sangue dovrà attendere (magari fino all’uscita del nuovo Shrek – tanto per restare nell’ambito dei pregiudizi), perché, contro ogni pronostico da trailer, Dragon Trainer, pur con tutta la sua carica di cliché narrativi e morali più o meno apprezzabili, tirando le somme, è veramente un buon film.
Dopo i deludenti Mostri contro Alieni (degno di nota solo per essere stato uno dei primi film distribuiti inTru 3D) e Madagascar 2, la DreamWorks, cercando di ripercorrere il sentiero tracciato dal riuscitissimo Kung Fu Panda, va a segno con un prodotto di ampissimo respiro che, pur pensato per famiglie e under 16, con la sua carica di adrenalina, il ritmo serrato e una comicità pungente ed efficace, saprà sicuramente farsi amare (e, soprattutto, ricordare, nel caso decidano di realizzare un sequel) da un pubblico ben più vasto di quello unicamente con prole al seguito.
Traendo spunto dalla serie di libri per ragazzi dell’autrice inglese Cressida Cowell, How to Train your Dragon, i due registi, Dean DeBlois e Chris Sanders (non a caso reclutati tra le fila della Disney, per la quale entrambi avevano diretto un classico come Lilo & Stitch e – per quanto riguarda Sanders – contribuito a scrivere capolavori come Mulan, Il Re Leone, Aladdin e La Bella e la Bestia), sono abilmente riusciti a costruire, su un intreccio scontato e prevedibile, un impianto solido, convincente e credibile, la cui forza è dovuta a personaggi caratterizzati a tutto tondo, ad un bestiario dragonesco variegato e accattivante (Sdentato, il draghetto con cui Hic fa amicizia, è un clone cresciuto di Stitch), e a scene d’azione realmente coinvolgenti, ben alternate a momenti più intimi e delicati; tutti marchi di fabbrica della casa di Topolino.
All’impasto, hanno aggiunto intelligentemente il tocco inconfondibile della DreamWorks: humor brillante, apprezzato da un pubblico più adulto (Hiccup è un eroe alla Shrek, con battuta pronta e acume a volontà), gag da pura commedia, protagonisti meno archetipici e più capaci di declinare emozioni e sensibilità moderne, e piccoli colpi di scena sparsi qua e là (soprattutto nel finale) per rendere più dissonante e amara, una melodia altrimenti diabetica.
Anche se eventuali visioni in 2D non ne sminuiranno marcatamente il valore, com’era prevedibile, Dragon Trainer verrà distribuito nelle sale in formato 3D e il film – dato il genere e la tematica trattata – vi si presta benissimo (sontuosissime le scene di volo, di Avatariana memoria), questo senza che lo spettatore ne venga sopraffatto o eccessivamente distratto.
Non tutti i pregiudizi vengono per nuocere. Evocateli, fatene scorta, riflettete su quante volte avete visto e rivisto storie come questa, sbuffate, digrignate i denti e preparatevi a guardare compulsivamente l’orologio pensando “quanto manca?”, così, una volta spente le luci e iniziata la proiezione, forse la sorpresa sarà ancora più grande.

Marco Cocco