Posts Tagged ‘Walt Disney’

Rapunzel – L’intreccio della torre

27 novembre 2010

RECENSIONE
titolo originale: Tangled
regia: Nathan Greno, Byron Howard
cast: Laura Chiatti, Giampaolo Morelli (versione italiana)
genere: animazione
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Walt Disney
uscita: 26/11/2010
9

Un po’ family melodrama, un po’ woman’s film per le bambine di oggi e le donne di domani, Rapunzel-L’intreccio della Torre di Nathan Greno e Byron Howard ha il sapore perduto della Grande Disney che non disdegna di concedersi al moderno 3D, tramite la supervisione di John Lasseter (il papà di Toy Story). La major di Topolino, Pippo e Paperino tocca un punto incontrovertibile, slittando una favola dei fratelli Grimm come Raperonzolo sull’asse freudiano del vecchio, caro legame edipico. Il rapporto figlia/madre è un modello di composizione altamente conflittuale, in quanto la giovane protagonista deve reprimere la propria soggettività di fronte ai condizionamenti impartiti dall’autorità genitoriale. Poi Rapunzel riesce finalmente a diventare padrona della propria vita, ma solo nel momento esatto in cui scappa dalla solitudine della propria stanza posta all’interno di una torre invalicabile. Una volta sottrattasi dal dominio psicologico della matrigna Ghotel che l’ha sempre trattata alla stregua di un brutto anatroccolo, la ragazza dalla chioma dorata diventa il centro di ogni luogo pubblico incontrato sul suo camino. Rapunzel riesce pertanto ad acquistare una propria autostima personale e inizia ad ascoltare la voce femminile che è in lei, innamorandosi – ricambiata – di un uomo energico e al contempo volitivo. Così, la fanciulla scopre la propria indipendenza, senza dover necessariamente dire addio alla dolcezza che la contraddistingue; mentre, il ladruncolo Flynn Rider riesce a confessare il trauma di un’infanzia privata dal corpo materno e paterno. Insieme i due futuri amanti intraprendono un viaggio sia letterale sia metaforico in una landa sperduta alla volta delle lanterne colorate, che si librano in cielo ogni anno il giorno del compleanno della ragazza.

A tratti, sembra che la figura materna emerga come una sorta di enigma, anche se sin da subito lo spettatore ha preso atto della volontà che muove le sue azioni. Tuttavia, è inevitabile chiedersi se le dinamiche psichiche di Ghotel siano solo quelle concernenti il possesso di Rapunzel in quanto soddisfacimento dell’anormale desiderio di giovinezza o se ci sia in ballo anche qualcosa di più, tipo un perverso ed esclusivo legame d’affetto. D’altronde, quest’anomala antagonista permette al pubblico di riflettere sulla risoluzione fantasmatica della bellezza immortale da lei ottenuta tramite un potere magico, equivalente alle meraviglie – altrettanto soprannaturali – dei bisturi medici nella nostra società dell’immagine.

Rapunzel-L’intreccio della Torre sarà il vostro film di Natale con una chicca in più: il doppiaggio italiano è affidato a Giampaolo Morelli alias ispettor Coliandro e alla bella Laura Chiatti, le cui doti canore sono note già dai tempi della fiction televisiva dedicata a Rino Gaetano.

Maria Cristina Caponi

L’apprendista stregone

17 agosto 2010

RECENSIONE
titolo originale: The Sorcerer’s Apprentice
regia: Jon Turtletaub
cast: Nicolas Cage, Jay Baruchel, Monica Bellucci, Alfred Molina, Teresa Palmer
genere: Avventura
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
durata: 110′
uscita nelle sale: 18/08/2010
7

Da centinaia di anni il mago Balthazar Blake è alla ricerca del degno erede di Merlino, lo stregone più potente dei tutti i tempi che venne sconfitto da Morgana, sua acerrima nemica; ma il sacrificio di Veronica, amante di Balthazar, rende possibile la prigionia della pericolosa strega. La sua minaccia però continua a incombere sul mondo della magia, e grazie all’aiuto di Maxim Horvath, un tempo allievo di Merlino insieme a Balthazar e Veronica e poi passato al lato oscuro della magia, la liberazione di Morgana è sempre più vicina. La ricerca dell’erede porta Balthazar nell’odierna Manhattan, e l’ultima speranza per il mondo dei maghi viene riposta in un giovane studente e amante della fisica, Dave, il quale si troverà al centro di un conflitto centenario, e dovrà imparare in fretta a usare la magia per poter contrastare il male.
Attenzione: L’apprendista stregone non ha nessun riferimento a Fantasia, tranne per il titolo. Il film si presenta semplicemente come una pellicola d’avventura, con toni di commedia romantica, prettamente per un pubblico giovanile. Dal punto di vista della trama il film non discosta molto dagli stereotipi narrativi degli adventure fantasy contemporanei, dove un giovane protagonista si trova catapultato in un mondo fantastico, alle prese con una forza che risiede nel suo cuore e che solo credendo in se stesso può usare e salvare il mondo, ma bisogna dare atto che più superficiale del film, quello merchandising e del titolo stesso della pellicola.
La forza risiede nel titolo e nell’immagine del brand: L’apprendista stregone richiama la quale il lontano 1940, anno di uscita di uno dei film d’animazione più importanti del panorama cinematografico moderno, Fantasia. Il film era composto da episodi, che accompagnavano ed erano accompagnati da alcuni celebri brani di musica classica; tra questi episodi c’era quello de L’apprendista stregone, la cui storia risale addirittura al ‘700, quando il filosofo Goethe scrisse un poema su un giovane apprendista stregone che causava numerosi danni dopo aver animato un manico di scopa. Questa storia viene ripresa e rielaborata dalla Disney, che come protagonista mette un Topolino apprendista alle prese con un incontrollabile magia. L’incredibile potere di fascinazione risiedeva nella perfetta armonia di immagine e musica, in cui entrambe si supportavano a vicenda creando una simbiosi incredibile e inimitabile.
L’efficacia della film di Jon Turteltaub, creatore di National Treasure, si trova nella falsa rievocazione del film d’animazione della Disney: un probabile successo di pubblico proverrebbe dal fatto che il film avvicinerà una fetta di pubblico che durante gli anni ’80 e ’90 si è goduto la visione di Fantasia, ovviamente trovandosi di fronte a qualcosa di totalmente diverso e privo di legami con esso. Ma non è solo questo: i film d’avventura sono sempre affascinanti e con l’enorme passo avanti della tecnologia digitale gli effetti speciali sono diventati i veri protagonisti, e non più un condimento della storia. La metropoli di Manhattan è anche essa una protagonista fondamentale, nonché di questo genere di film: è un ambientazione intrigante poiché la vita della città e il suo realismo si fondono in un mix di magia e divertimento, stuzzicando l’immaginazione di chiunque e dissacrando l’aspetto cupo e grigio della metropoli, non più un agglomerato di lavoro, stress e responsabilità, bensì come un luogo di evasione e magia. La magia del digitale consente di rendere dinamica e frenetica la visione del film, e le scene d’azione diventano dei momenti di vero godimento.
Il tasto dolente però è nella sceneggiatura, caratterizzata da dialoghi che rasentano per la maggior parte della storia il ridicolo e l’imbarazzante, e momenti di enorme apatia in cui proprio i dialoghi cercano di accompagnare l’introspezione dei personaggi. Dave si presenta come il solito “outsider”, nerd, amante della fisica e della scienza, che ama una ragazza che ovviamente non corrisponde. Quando scopre di avere dei poteri, il suo destino cambia rotta e inizia a credere in sé stesso e nelle sue potenzialità: questo messaggio, in fin dei conti, ha fatto sempre parte di qualsiasi prodotto Disney. Affianco a lui, Balthazar Blake, interpretato da un po’ meno monotono Nicolas Cage, è il solito maestro coraggioso e sicuro di sé, che dall’alto della sua esperienza prende come allievo il giovane Dave, facendosi superare dalla forza d’animo del ragazzo e adempiendo al suo dovere di padre/maestro. Altra nota dolente è il nemico di turno, un insolito Alfred Molina (doctor Octopus in Spider Man 2) nei panni dell’arcinemico Maxim Horvath, a cui viene a mala pena riservato un background. Infine bisogna parlare di Monica Bellucci, che interpreta Veronica, a cui fortunatamente vengono riservate solo pochissime scene.
Tirando le somme, L’apprendista stregone si presenta come un ottimo titolo di intrattenimento. Chi si aspetta di trovare l’anima di Fantasia o numerose citazioni all’opera targata Walt Disney, farebbe meglio a non guardarlo: l’unico riferimento, piuttosto divertente e ben congeniato, è un momento in cui l’imbranato Dave combina un pasticcio nel suo laboratorio/palestra di magia, che sporca e in disordine cerca di risistemare. Una scena che tutti noi conosciamo.

Riccardo Rudi

Toy Story 3

13 luglio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Toy Story 3
regia: Lee Unrkich
cast:
genere: Animazione
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
durata: 109′
uscita nelle sale: 7/07/2010
8


Il giorno tanto temuto da Woody e gli altri è arrivato: Andy ormai è cresciuto, i suoi giocattoli sono diventati ricordi di una felice infanzia, ed è pronto a lasciare casa per andare al collage. I suoi compagni d’avventure sono rassegnati all’idea di non poter essere nella vita del loro amico e sono costretti a lasciare la sua camera, luogo di tantissime peripezie e fantastiche storie, per andare nella polverosa soffitta. Per una serie di coincidenze però fraintendono che Andy in realtà vuole buttarli; tristi e arrabbiati sentono parlare dell’asilo, in cui i giocattoli possono vivere felici insieme ad altri bambini. Ma l’asilo si rivela peggio di una prigione, e dovranno mettere in atto un piano di fuga per poter tornare da Andy e salutarlo per l’ultima volta.
Woody, Buzz e tutta la banda dei giocattoli più famosi del mondo tornano nel terzo capitolo della saga che ha rivoluzionato il cinema d’animazione: nel lontano 1995, Toy Story è stato infatti il primo lungometraggio d’animazione completamente sviluppato in CG (Computer Grafica), creando un nuovo tipo di cinema che affiancherà quello d’animazione in 2D. La sua estetica ha portato una nuova impostazione, aderendo all’ immaginario moderno cinematografico che in quegli anni si stava affacciando grazie al computer, che diventava il medium interattivo e digitale accessibile a tutti.
Ma Toy Story non si impone nel cinema solo per il suo aspetto e le sue tecniche digitali, ma è di fondamentale spessore per la storia, forse una delle più toccanti ed esilaranti mai scritte: il film si presenta come un’operazione nostalgica, un omaggio a un tipo di infanzia fatta di giocattoli, di fantasia e mondi. I protagonisti sono vere e proprie citazioni e riferimenti al mercato ludico che durante gli anni ’90 ha fatto prodotto milioni di giocattoli che hanno fatto breccia nei cuori dei bambini (ma che noi italiani forse non conosciamo, come Mr. Potato, che in America è molto famoso). Voler omaggiare e ricordare la forza dell’immaginazione come fonte di infinito divertimento è una sottile una critica verso i nuovi mezzi di intrattenimento, tra cui il computer e le varie console videoludiche, che in quegli anni si sostituivano sempre di più ai giocattoli. In tutti e tre i capitoli di Toy Story, i suoi protagonisti hanno la costante paura di non essere più usati da Andy, o da qualsiasi altro bambino: senza l’innocenza dell’infanzia infatti non sono altro che semplici pupazzi privi di vita. Questo messaggio è delicato e viene rafforzato da un forte impianto drammatico, che viene affiancato da una commedia esilarante e pieno di stile. Eppure non si può non notare  una contraddizione: sebbene il film definisca il problema dei nuovi media digitali nell’ambito dell’infanzia, l’essenza stessa della pellicola è proprio quella virtualità e digitalità che si vuole criticare.
Al di là di queste riflessioni, Toy Story 3 sbalordisce e stupisce per la sua maturità. La Pixar ha fatto un lavoro eccellente perché è riuscita a portare in auge un titolo che tutti attendevano, e che rischiava di essere troppo vecchio per essere riportato sul grande schermo; oltretutto è risaputo che i sequel possono essere pericolose bombe commerciali, pronte a esplodere nella superficialità e nella banalità più totale. Invece questo sequel è incredibile, riuscendo a rispolverare una delle storie che hanno toccato i cuori di tutti noi. Sin dalla prima scena si avverte la malinconia e il nostalgico saluto ai giocattoli più conosciuti del mondo, e tra risate, divertimento e ilarità, una lacrima si farà spazio tra gli occhialetti 3D (tecnologia oltremodo inutile per questo film).

Riccardo Rudi

Daddy Sitter

23 marzo 2010

RECENSIONE
titolo originale: Old Dogs
regia: Walt Becker
cast: John Travolta, Robin Williams, Kelly Preston, Seth Green, Ella Bleu Travolta
genere: Commedia
paese: USA
anno: 2009
distribuzione: Walt Disney Pictures
durata: 88′
uscita nelle sale: 26/03/2010
6

Daddy Sitter è il nuovo film targato Disney, diretto dal regista Walt Becker, che vede la partecipazione di un grande cast comico, a partire dai protagonisti Travolta e Williams fino ai personaggi che fanno da contorno alle situazioni più ilari, come Bernie Mac e Matt Dillon. Sulla carta verrebbe da dire che si tratta della classica commedia americana, ma di classico ha ben poco, a partire dall’accoppiata TravoltaWilliams.
Questo nuovo team cerca di ridefinire la tradizionale coppia MattauLemon, togliendo ai cliché i dispetti tra protagonisti e aggiungendo un profondo senso di cameratismo che provoca sin dall’inizio un’infinita serie di gag.
Il film racconta le vicende di due amici d’infanzia: John Travolta (di recente protagonista sul grande schermo anche di un film dalla tematica ben diversa, From Paris with love, in cui si mette alla prova con il genere d’azione) è Charlie , il viveur sempre a caccia di ragazze, mentre Robin Williams è Dan, appena uscito da un divorzio.
Dan, che vive in un condominio residenziale vietato ai bambini, scopre improvvisamente di essere padre di due gemelli di sette anni e di doversene occupare per due settimane, questo proprio quando lui e il suo amico Charlie stanno per concludere l’affare più importante della loro vita.
Dalla loro incapacità di occuparsi dei bambini, nasceranno una serie di situazioni comicamente disastrose che li porterà a ridefinire le loro priorità nella vita.
Travolta riesce a sfruttare l’ottima alchimia con Williams, sempre a suo agio nelle commedie brillanti dedicate alle famiglie, e offre una performance convincente che ricorda alcuni dei suoi successi del passato, come la serie cinematografica di Senti chi parla.
Il film riesce nel suo compito di intrattenimento per tutta la famiglia e la regia di Walt Becker dà allo svolgimento della storia un ottimo ritmo narrativo, grazie anche alle ottime scelte musicali, che evidenziano e sottolineano con efficacia i momenti più importanti o divertenti della pellicola.
Gli sceneggiatori David Diamond e David Weissman (che hanno ottenuto una certa popolarità con le commedie The family man, con protagonista Nicholas Cage, e Evolution), parlano nuovamente dei valori della famiglia sfruttando delle gag, forse scontate, ma divertenti, e rielaborando nuovamente la domanda su cosa sia più importante: lavoro o famiglia?
Se si dovesse fare un’osservazione, si potrebbe discutere sulla traduzione del titolo (in originale Old Dogs) nella sua versione italiana: Daddy Sitter, infatti, fa quasi pensare che siano i due padri protagonisti ad avere bisogno di qualcuno che si occupi di loro, anche se non si può non notare che Old Dogs, sia abbastanza difficile da rendere efficacemente in altre lingue.
Daddy Sitter, pur non brillando per originalità nella sua trama e svolgimento, è un film onesto che mantiene le sue promesse: farà ridere gli spettatori di tutte le età, parlando di valori come la vera amicizia e l’importanza di avere una famiglia. Una pellicola divertente, che sa un po’ di già visto, ma capace di suscitare, ugualmente, una sonora e sincera risata.

Patricia Locche

Alice in Wonderland

5 marzo 2010

RECENSIONE
titolo originale: Alice in Wonderland
regia: Tim Burton
cast: Mia Wasikowska, Johnny Depp, Helena Bonham-Carter, Crispin Glover, Anne Hathaway
genere: fantastico
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia
durata: 108
uscita nelle sale: o3/03/2010
6

Preceduto dall’attesa spasmodica dei fans più accaniti, ansiosi di vedere cosa avrebbe combinato il loro regista preferito alle prese con uno dei maggiori capolavori della letteratura fantastica, arriva finalmente Alice in Wonderland di Tim Burton, adattamento in carne e ossa targato Disney dell’omonimo romanzo di Lewis-Carroll.
Un libro innovativo, ricco di allegorie e di invenzioni surreali e fantastiche. Un cartoon bizzarro e lisergico le cui influenze sottilmente horror ne hanno fatto un cult per grandi e piccini. Non è difficile cogliere in cotanto retroterra, perfettamente in sintonia con l’immaginario visivo e poetico del regista californiano, enfatizzato dalle potenzialità delle nuove frontiere dell’animazione e del 3D, e da un cast di tutto rispetto che affianca ai fidi Johnny Depp e Helena Bonham-Carter, la simpatia di un’ironica Anne Hathaway e la verve comica del Matt Lucas di Little Britain, le premesse per un nuovo capolavoro burtoniano capace di far rivivere i fasti di Nightmare before Christmas o Edward Mani di forbice.
Eppure, le peripezie di questa Alice ormai adulta, perfettamente incarnata dall’eterea Mia Wasikowska, deludono, lasciando intuire la forte presenza della Major dietro l’operazione, a scapito dell’estro di un Burton che qui appare fin troppo rassicurante, se non addirittura impersonale.
Dalla sceneggiatura di Linda Woolverton, che fonde le due opere di Lewis-Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, appunto, e il meno noto Attraverso lo specchio, per assicurare alla storia maggiore coerenza narrativa, allo snaturamento dell’opera originaria, che da fiaba, ritenuta a torto genere datato, diviene un più accattivante fantasy con tanto di battaglia epica per la conquista del regno, fino all’eccessivo spazio concesso al personaggio del Cappellaio Matto, elevato a co-protagonista e addotto a pretesto per una buffa e, per fortuna solo accennata, storia d’amore. Tutto insomma, va nella direzione di un prodotto commerciale, capace di affascinare e catturare il pubblico più giovane senza allontanarsi troppo dai canoni dell’offerta dominante. Dispiace perciò trovarvi una regia nient’altro che di mestiere, che limita il proprio gusto per il grottesco alla caratterizzazione di alcuni personaggi (su tutti le due Regine), rimuovendo quasi del tutto ogni connotazione orrorifica, limitando le potenzialità della terza dimensione ad una funzione esclusivamente ludica, e ingabbiando la propensione per la creazione di mondi fantastici in una scontata rivisitazione del film di animazione del ’51.
Così, in sostanza, la grandiosità del progetto si riduce ad un buon film, onesto e di indubbia spettacolarità, che non mancherà di divertire e appassionare i  grandi e i piccoli spettatori cresciuti a pane & Topolino, deludendo però le affezionate aspettative di coloro chi ripone in Alice in Wonderland la viva speranza di veder tornare Burton alla perturbante poeticità di un tempo.

Caterina Gangemi