Posts Tagged ‘Piergiorgio Ravasio’

Solomon Kane

19 luglio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Solomon Kane
regia: Michael J. Bassett
cast: James Purefoy, Max Von Sydow, Rachel Hurd-Wood, Pete Postlethwaite
genere: Fantasy / Azione / Avventura / Horror
paese: Francia, Repubblica Ceca, Gran Bretagna
anno: 2009
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 14/07/2010
7

Solomon Kane è un’avventura fantastica ed epica, piena di azione, tratta dal personaggio dei racconti e delle poesie dello scrittore americano Robert Howard (scrittore con una visione limitata e intensa della vita; sanguinosa, cupa, fatalista, alimentata da tendenze depressive e suicide e segnata dallo studio delle guerre mondiali, dalla filosofia e dalla poesia. Basti sapere che Brown, nel 1936, si suicidò sparandosi un colpo in testa dopo aver vegliato fino all’ultimo la madre sul letto di morte).
Il personaggio più famoso di questo scrittore (che ci ha lasciato, comunque, almeno 800 opere tra racconti, poesie e romanzi oggetto di lungometraggi, serie televisive, fumetti, giochi e merchandising vari) è Conan il barbaro, diventato famoso negli anni ’30 con una serie di racconti e romanzi, nonché trasposto successivamente sugli schermi negli anni ’80 con le fattezze dell’ormai governatore Arnold Schwarzenegger).
Dopo Conan arriva Solomon: il pirata avventuriero, saccheggiatore, pieno di tatuaggi, cicatrici e ferite da battaglia, abile a destreggiarsi con le spade e che diventa pellegrino passando per il mezzo di un’esperienza puritana. Eroe che tramuta il male in bene, fermamente convinto del proprio ruolo e determinato in tutto ciò che si prefigge.
L’incontro con la Morte, venuta a prendere la sua anima, lo porterà a giurare davanti a Dio che non sarà mai più un uomo cattivo.
Bandito dal monastero dove aveva trovato rifugio, Solomon si imbarca per un viaggio arduo attraverso un paesaggio inglese devastato dai perfidi Raiders di Overlord. Attaccato dai banditi della foresta, il nostro eroe verrà soccorso da una famiglia di puritani in fuga dal loro paese. Purtroppo situazioni varie lo costringeranno a riabbracciare i suoi violenti trascorsi.
Michael J. Bassett, al suo terzo lavoro per il grande schermo dopo l’horror ambientato nelle trincee della prima guerra mondiale Deathwatch e la scioccante pellicola sulla sopravvivenza Wilderness, accostando comparse degne di nota (Max Von Sydow nel ruolo del padre di Solomon) e inserendo creature strane in un racconto classico, ci regala una storia d’avventura feroce, fantasy, dove il mix omogeneo di azione e fantasy, in perfetto stile dark, ci offre una versione fantastica dell’Inghilterra del 16esimo secolo, corredata di demoni, saprofagi, creature volanti e streghe cattive. Nel contempo ci regala anche un protagonista (già apprezzato in Resident Evil) molto cattivo ed esperto nell’uccidere persone, vestito di cappello e mantello e sempre provvisto di due spade in mano, alle prese con un viaggio trasformatore che lo porterà, da screanzato pirata assassino e vendicatore puritano, ad una forma di redenzione passando per  quell’eterna battaglia volta a combattere il male in nome di Dio, pentendosi per ogni colpo di spada inflitto durante il proprio cammino.
Girato nell’arco di 12 settimane tra Repubblica Ceca e Regno Unito, illuminando i nostri occhi con location uniche in quanto a paesaggi, cave, foreste antiche e castelli medievali, ispirandosi ai maestri fiamminghi per permeare il film di una visione senza tempo, la pellicola fantasy (piena di elementi sovrannaturali, di stregonerie, di trucchi e di effetti speciali che ben riescono nel loro intento di inserire creature strane in un racconto classico) ci offre un risultato comunque più che positivo, nonostante la trama non spicchi di originalità.
Merito, soprattutto, di quegli effetti speciali che, esaltando ora una galleria di specchi, con strane creature organiche, attraverso le quali si accede ad un’altra dimensione, ora una coinvolgente scena di una crocefissione al rione del mercato, ci preparano a quel buon intrattenimento profetico dove gli accenni biblici di una possibile (spirituale) redenzione si affiancano a quelli di un demone in procinto di divenire angelo.
Insomma: buone scene di azione dove il personaggio sa ben calarsi nei panni dell’eroe leggendario, tenebroso e serio; ricercati costumi che danno un quadro ideale dell’Inghilterra del tempo, mista ad un tocco di fantasia; fotografia che riesce ad esaltare un paesaggio cupo, gelido e medievale.
Immaginando il film, come pare nelle intenzioni dei produttori, già nell’ottica di una possibile trilogia, grazie ad un personaggio “viaggiatore” in perenne ricerca di conflitti da dirimere (e per il quale 90 minuti di film certamente non bastano), aspettiamoci nuove peripezie nei prossimi anni.
Se Dio gli ha donato una serie di attributi per aiutare i diseredati, avremo di che allietarci in un prossimo futuro. Ciò che conta è come si usa il proprio dono ricevuto in dote: l’importante è farlo bene. E Solomon Kane sembra aver capito la lezione.

Piergiorgio Ravasio

Draquila – L’Italia che trema

7 Maggio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Draquila – L’Italia che trema
regia: Sabina Guzzanti
cast:
genere: Documentario
paese: Italia
anno: 2010
distribuzione: BIM
uscita: 07/05/2010
7

Il titolo di un film che inizia con Draquila sicuramente incuterà qualche timore ai soggetti più facilmente impressionabili, che già si prefigurano chissà quali immagini sanguinolente davanti ai propri occhi, così come Italia che trema potrebbe ulteriormente convincerci di quanto sopra, disegnandoci uno scenario da vampiri avidi di sangue: ma non fermiamoci qui.
Per sollevarci da questi raccapriccianti equivoci da ambiente horror, basta leggere la nota firma di Sabina Guzzanti, acquistando, così, la consapevolezza di parlare di un documentario.
Documentario sì, ma che certamente lascerà dietro di sé il suo strascico di inevitabili (e giuste …. si dice così per par condicio) polemiche.
Sabina Guzzanti, dicevamo. Sì, proprio colei che, da sempre interessata a raccontare la (sua) verità dei fatti, lascia la RAI e approda, con il suo stile tagliente, al grande schermo per farci conoscere i suoi approfondimenti in tema di attualità (da Viva Zapatero del 2005 sulla scarsa libertà di espressione nel nostro paese a Le ragioni dell’aragosta del 2007 con il cast della trasmissione televisiva Avanzi).
Una donna alla quale, nonostante le inevitabili polemiche suscitate dai suoi contributi (cinema, tv, teatro o musica che sia), il pubblico continua a tributare un crescente interesse. Motivo per il quale lei stessa decide di rimettersi nuovamente dietro la macchina da presa.
L’attenzione su cui la cineasta punta il suo sguardo e il suo velenoso accento polemico è quello del terremoto del 6 Aprile 2009, che ha scosso le fondamenta (e sicuramente anche le coscienze) di tutti noi italiani. Un approfondimento, il suo, che vuole fare luce (o gettare ombre) sugli scandali connessi alla ricostruzione di un’intera città dopo il tragico evento sismico, dove il valore di quello che si è sfasciato è immenso e dove l’opinione pubblica, a detta sua, è all’oscuro di tutto ciò che “uno stato parallelo” ha sempre cercato di nascondere abilmente.
Sì: nascondere. Proprio quel verbo che è alla base di questo suo ultimo impegno finalizzato a dimostrare quanto un terremoto possa tradursi in un grande affare di interessi pubblici e privati, dove il grande potere sembra essere (che novità) in mano alle televisioni e all’informazione, le quali promanano una mera illusione, distorcendo dei fatti reali. Dove sembra che il manifestare le proprie opinioni (quando non si applaude pubblicamente al Premier) equivalga a commettere un reato, pena il deplorevole allontanamento obbligato da parte delle forze pubbliche, con tanto di minaccia di azioni legali.
Uno stato di generale anarchia, arbitrio e militarizzazione totale, dove gli stessi soccorritori vengono presentati come invasori (ci si riferisce alla Protezione Civile governata da Guido Bertolaso), sorta di esercito armato in mano alla Presidenza del Consiglio, mentre una generale corruzione edilizia e loschi affari sotto banco a braccetto con le cosche mafiose (c’è tanto di intervista al figlio del Sindaco palermitano Ciancimino a proposito della costruzione di Milano 2) sembrano imperversare come occasione d’oro in palmo di mano (a qualcuno) per fare una valanga di soldi.
La Guzzanti ci tranquillizza subito sul suo sforzo di dare speranze per il futuro, in merito al rischio di eventuali denunce: “Mi sono tutelata; Ogni fatto e ogni parola che andrà nella versione finale, sarà valutato con l’aiuto di avvocati”.
Con l’eccentrica idea, innovativa e originale, di far scegliere agli italiani (sul suo blog) il titolo dell’ultima pellicola (Ordinanza 3838 -Habemus titolum), certamente la regista ci suscita un insolito dubbio: a parte il numero delle sale che programmeranno il suo film, bisogna davvero essere costretti a rinchiudersi nel buio di un cinema per conoscere la storia di quegli italiani che devono ancora ritrovarsi in piazza ogni domenica mattina a rimuovere le macerie e dimostrarci come il loro spirito, nonostante tutto, sia ancora vivo?
In patria abbiamo avuto il recente tentativo di Videocracy per darci l’immagine di una televisione ad uso e consumo di un personaggio pubblico (seppur di alto profilo istituzionale). Oltre confine abbiamo un indiscusso (e più abile) Michael Moore schierato con le sue pellicole contro il sistema americano e il suo ex Presidente (Fahrenheit 9/11, Sicko e Capitalism: A love story). Qui da noi abbiamo (almeno) lei che cerca di condannare una televisione (anche se magari la Guzzanti si ferma solo a questo, senza andare oltre, rispetto all’illustre collega americano) come specchio dell’anima di un Presidente del Consiglio.
Dove è quella “sinistra” che possa svegliare le coscienze e contrastare le gaffes di un Premier (“Ho speso 200 milioni di euro per consulenti e …. giudici”. Subito correttosi in “avvocati”), gli striscioni in città (Grazie Silvio: l’unico che oggi fa ancora miracoli), le situazioni comiche (un Berlusconi che cerca applausi in un asilo di bambini), le righe infilate nei decreti per modificare e ampliare le competenze della Protezione Civile o le lamentele di due terzi di una città che non può rientrare nella propria casa classificata ancora come “sana”?
Nel sito internet di Sabina Guzzanti si legge: “Trema l’Italia. Per i privilegi di pochi, per le leggi ad personam, per l’appropriazione indebita di fondi pubblici, per la corruzione, per le caste, per i servizi negati ai cittadini e per la speculazione edilizia. Trema e si sgretola lentamente. Non restare a guardare. Dai una scossa al cambiamento! Il diritto di espressione è il cemento della democrazia.”
Sicuramente “Draquila” è il classico film per non dimenticare il silenzio di un vuoto non colmato, una pellicola da cui traspare l’amore per il proprio paese, un’occasione per farci riflettere su cosa abbiamo scambiato in cambio di cosa, una storia di responsabilità e solidarietà dove il mito del dio denaro sembra essere ancora presente, un desiderio di ricostruire una città sommersa dalle macerie ma dove, forse, bisogna prima ricostruire delle vite umane.
È con questo dubbio che usciamo dalla sala: riusciremo mai a cambiare qualcosa? Basteranno pellicole come questa per risolvere i problemi o subentrerà quella sfiducia e rassegnazione per cui tutti getteranno le speranze?
O forse è più comodo e facile dimenticare?
La Storia, alla fine, la scriviamo sempre noi elettori. Poiché, come si dice, “Ogni nazione ha i politici che si merita”.

Ravasio Piergiorgio

From Paris With Love

15 aprile 2010

RECENSIONE
titolo originale: From Paris With Love
regia: Pierre Morel
cast: John Travolta, Jonathan Rhys Meyers, Amber Rose Revah, Kasia Smutniak, Melissa Mars, Richard Durden, Farid Elouardi
genere: Azione
paese: Francia
anno: 2010
distribuzione: Moviemax
uscita: 16/04/2010
7

Un esempio di attore che, generalmente, si contraddistingue per una notevole varietà di ruoli interpretati ad ogni sua comparsa sul grande schermo, è John Travolta.
Dagli esordi come ballerino (La febbre del sabato sera e Grease), la sua passione per il trasformismo lo ha visto rivestire ben altri panni in A civil action, I colori della vittoria, Hairspray: grasso è bello. Passando attraverso una doppia nomination agli Oscar (tra cui l’emozionante interpretazione del killer filoso in Pulp fiction di Quentin Tarantino), tra i suoi film più recenti ricordiamo la commedia di successo Svalvolati on the road, il drammatico Basic e il recentissimo remake di Tony Scott Pelham 1-2-3: Ostaggi in metropolitana.
Desiderando girare, da tempo, un film in Francia, l’opportunità per cimentarsi in qualcosa di diverso, estraneo al suo bagaglio cinematografico frutto di decenni di carriera, gli viene offerta nientemeno che da Luc Besson (oggi in veste di produttore); e dobbiamo ammettere che il ruolo di killer esagerato – senza capelli, con pizzetto e con look da soldato di fortuna – assassino in missione per conto del governo (ma con una certa vena comica) e agente dal grilletto facile, gli viene proprio bene.
Accanto a lui Reese, il Jonathan Rhys Meyers di Velvet Goldmine, Match Point di Woody Allen, Sognando Beckam e Alexander di Oliver Stone. Sicuramente uomo molto più comune, meticoloso, responsabile e adulto, che funge da contrappeso rispetto al ruolo di Wax (Travolta), le cui armi non sono certamente quelle di trovarsi a proprio agio nelle situazioni di pericolo, ma la conoscenza delle lingue, l’intelligenza e la saggezza.
Sull’asfalto parigino i due, lasciandosi dietro un fiume di sangue e un numero sorprendente di vittime, saranno impegnati nel tentativo di fermare bande di criminali, bloccare giri di droga e sventare attentati terroristici.
Terza opera del regista di Taken, Pierre Morel, la pellicola d’azione adrenalinica, combina commedia e dramma, nel presentarsi divertente quando enfatizza l’amicizia in stile mentore/studente (con dialoghi e situazioni comiche tra due uomini alquanto differenti), si evolve lentamente e inesorabilmente, trasformandosi in qualcosa di misterioso, in una storia dark dal colpo di scena finale che rende il tutto molto cupo.
Visitando anche luoghi inediti e inesplorati dalla cinematografia, la storia, passando per la Tour Eiffel, ruota attorno a Parigi, dove si svolgono gran parte delle scene di azione, mostrandoci la città da un punto di vista diverso da come l’abbiamo visto fin’ora. L’action-movie, pur non presentandoci uno script originale, finirà sicuramente per piacere agli estimatori del genere.
A parte l’alchimia che s’innesta tra i due attori principali, è sicuramente John Travolta a colpire e a lasciare il segno: quel personaggio immorale, quel linguaggio osceno, volgare, minaccioso e senza freni, quell’atteggiamento insolente, quel risolvere i problemi facendo saltare in aria la gente, sono tutti elementi che centrano il bersaglio. E vederlo rotolare, saltare su un tavolo, volteggiare in aria con due pistole in mano, non può che farci apprezzare il talento di un attore tanto poliedrico.
L’opposto, insomma, della dolce e calma Carolina che fa breccia nel cuore di Reese.
Ricordiamoci, però, che ogni persona, con una valida ragione, compirebbe qualsiasi cosa: anche uccidere per amore; perché se è pur vero che certe volte “il killer dentro di noi ha bisogno di uscire fuori allo scoperto”, l’importante è decidere di morire per quello in cui si crede (ma in certi casi sarebbe meglio di no).

Piergiorgio Ravasio

Basilicata Coast to Coast

11 aprile 2010

RECENSIONE
titolo originale: Basilicata Coast To Coast
regia: Rocco Papaleo
cast: Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Gassman, Paolo Briguglia, Rocco Papaleo, Michela Andreozzi, Claudia Potenza, Max Gazzé
genere: Commedia
paese: Italia
anno: 2010
distribuzione: Eagle  Pictures
uscita: 09/04/2010
6

Nicola è un insegnante di scuola superiore, Rocco è una stella dello spettacolo locale in trepidante attesa di sfondare nello star system, Salvatore è un simpatico ragazzo semplice che si lascia alle spalle una delusione d’amore (oltre ad una mancata laurea in medicina), Franco è un uomo che, dopo un lutto molto forte, decide di chiudersi in se stesso, di non proferire più parola alcuna e di dedicarsi alla sua grande passione: la pesca.
I quattro condividono un comune hobby: quello della musica.
Cosa decidono di fare per imporre all’attenzione pubblica la propria band dal nome alquanto insolito (Le pale eoliche), che non sia la normale, banale, scontata partecipazione ad una gara canora?
Magari facendosi notare attraversando, nell’arco di dieci giorni, l’intera regione, passando da una costa all’altra, per raggiungere Scanzano Jonico, sede, ogni anno, di un importante festival musicale.
Lo faranno a piedi, con un solo telefono cellulare, un carretto e un cavallo per il trasporto del minimo indispensabile, una telecamera e una giornalista inizialmente per nulla interessata allo scoop.
Commedia piacevole e veritiera che, con i soliti imprevisti non messi in conto dai quattro malcapitati, ci immerge nei colori, tradizioni, usi e costumi dei vari paesini di provincia.
Oltre ad offrirci un panorama sicuramente gradevole, la pellicola vede l’esordio alla regia di quel Papaleo storico protagonista dei cine-panettoni natalizi targati Pieraccioni (I laureati, Il paradiso all’improvviso, Ti amo in tutte le lingue del mondo, Una moglie bellissima, Io e Marilyn), autore che, però, può vantare anche collaborazioni con altrettante indiscusse firme come Virzì, Vanzina, Veronesi e Placido.
Accanto a lui (protagonista, oltre che regista) si distinguono maggiormente Alessandro Gassman, a cui l’attività teatrale ha sicuramente giovato non poco, e Giovanna Mezzogiorno, forte di una gavetta maturata alle spalle di grandi registi come Michele Placido, Gabriele Muccino, Ferzan Ozpetek e Cristina Comencini.
Alternando momenti simpatici e allegri ad altri piuttosto scontati e tipici di una sceneggiatura sicuramente non originale, la pellicola non percorre sentieri innovativi, forse per colpa di quel classico viaggio come occasione di crescita personale e interiore, dove ognuno mette in campo le proprie debolezze e paure che abbiamo visto (meglio rappresentate) in altri film.
Consoliamoci un po’, sapendo che la casa di produzione (la PACO Cinematografica), con i suoi film tutti riconosciuti d’interesse culturale nazionale, realizza opere a scopo umanitario i cui ricavi vengono destinati alla costruzione di scuole e strutture ospedaliere in Etiopia e Cambogia. Per lo meno sappiamo dove andranno a finire i soldi per i biglietti staccati.
«Il mio intento è quello di fare un film sul sud, da cui provengo, così come lo guardavo da giovane, con la capacità di fare ed inseguire i sogni, la voglia e la possibilità di cercare un cambiamento. Mi piacerebbe che questa storia si proponesse come uno specchio in cui i miei conterranei possano guardarsi e scoprirsi diversi da come una certa filmografia giustamente ci dipinge», ci dice il regista attore.
Un bel proposito che sicuramente sosteniamo e incoraggiamo. Come opera prima non ce la sentiamo di rinfacciare nulla al bravo Papaleo. Forza e coraggio: la prossima volta andrà meglio.

Piergiorgio Ravasio

Departures

8 aprile 2010

RECENSIONE
titolo originale: Okuribito
regia: Yojiro Takita
cast: Masahiro Motoki, Tsutomu Yamazaki, Ryoko Hirosue, Kazuko Yoshiyuki, Kimiko Yo
genere: Drammatico
paese: Giappone
anno: 2008
distribuzione: Tucker Film
uscita: 09/04/2010
9

In un’epoca convulsa e irrequieta come quella contemporanea, dove si è spesso indaffarati a correre da mattina a sera senza rimediare un po’ di tempo per pensare a se stessi, figuriamoci se qualcuno trova uno spazio per meditare su un concetto primitivo e ineluttabile, nella vita di tutti, come quello della morte.
È invece ciò che si trova, suo malgrado, a dover fare il povero Daigo, affermato violoncellista in una famosa orchestra, che improvvisamente si vede catapultato in mezzo alla strada. Per mantenere se stesso e la giovane moglie (oltre ad un figlio in arrivo), l’uomo accetta un incarico piuttosto singolare rispondendo a un annuncio.
Convinto di andare a lavorare in un’agenzia viaggi, si renderà presto conto di occuparsi sì di viaggi, ma di quelli particolari: gli ultimi ed estremi, in partenza per l’aldilà.
Nell’agenzia NK, Daigo si cimenterà con la preparazione di cadaveri, il lavaggio cerimoniale del corpo, la vestizione e il posizionamento del defunto nella bara alla presenza dei familiari.
Non facciamoci turbare da una trama apparentemente così macabra, poiché la pellicola (vincitrice di 13 Premi in altrettanti Festival, oltre all’Oscar come Migliore film straniero), scansando qualunque esagerazione e avvalendosi di uno svolgimento tipicamente orientale (con i tempi e le lentezze che gli sono propri) ha al suo attivo molti punti di forza che la rendono un piccolo, piacevole e indimenticabile gioiellino.
Dell’eleganza e della bellezza di una cerimonia che si svolge in maniere differenti nelle varie parti del mondo, presentandoci questa tradizione orientale come un rito estremamente artistico, svolto in silenzio e che richiede raffinate capacità, si fa carico il cineasta giapponese Yojiro Takita, uno dei più acclamati in patria fin dai suoi primi successi (The yen family, We are not alone o drammi come When the last sword is drawn).
A farci riflettere, invece, su vita e morte che coesistono in armonia e in maniera molto naturale, assumendone lo stesso valore e giacendo l’una a fianco dell’altra, ci pensa il protagonista Masahiro Motoki che riesce anche a sdrammatizzare il suo personaggio dosandolo con quel giusto tocco di comicità (il momento del video promozionale sull’attività dell’agenzia) e interpretando con grande intensità la rinascita di un uomo che guarda alla vita con un’ottica differente, imparando ad apprezzarla attraverso il mistero della morte.
Una bella sceneggiatura (seppur opera prima, per il grande schermo, con la firma di Kundo Koyama) supportata da una colonna sonora a tratti intensa e a tratti delicata (bella la scena del violoncello suonato in uno sconfinato prato verde, sullo sfondo di montagne che danno quel giusto senso di trascendente) per un film, sicuramente fuori dai canoni convenzionali, che non mancherà di suscitare emozioni: che si tratti di qualche risata a denti stretti o di qualche lacrima per le persone un po’ più sensibili.
Indubbiamente una bella lezione di cinema che, partendo dal tema della morte per arrivare a quello della vita, ci insegna a salutare affettuosamente tutti i nostri cari, senza dover aspettare il momento della dipartita per l’ultimo, estremo, addio; a voler loro bene, di quell’affetto indistinto, che si tratti di amore coniugale, filiale o che nasce da qualunque tipo di relazione con parenti, amici e conoscenti.
Come Daigo che, nonostante l’inevitabile incertezza e titubanza iniziale, incontrerà la morte sotto vari aspetti (una suicida dalla vita un po’ ambigua, un adolescente morto in un incidente stradale, un’anziana con la passione per i calzini bianchi), arrivando a compiere il difficile passo del perdono e lasciandosi alle spalle tanti anni di odio, invidie e ostilità, così anche gli spettatori saranno portati a riflettere su quel senso di rispetto per la vita e per il solenne momento del trapasso.
Alla fine di tutto, «La morte non è che un cancello. Con la morte non finisce niente. È un cancello, che si deve attraversare per proseguire il viaggio, e per il quale passano tutti. Io sono qua per aiutarli a passare e per dire addio a chi se ne va. E quando guardo partire qualcuno, dico: Arrivederci!».

Piergiorgio Ravasio

Green Zone

7 aprile 2010

RECENSIONE
titolo originale: Green Zone
regia: Paul Greengrass
cast: Matt Damon, Jason Isaacs, Brendan Gleeson, Greg Kinnear, Amy Ryan, Said Faraj, Michael O’Neill, Khalid Abdalla,
genere: Drammatico, Guerra
paese: USA/Francia/Spagna/Regno Unito
anno: 2010
distribuzione: Medusa
uscita: 09/04/2010
8

Ci sono pellicole che spesso, da noi critici, vengono definite e classificate come “commerciali”; un aggettivo usato, purtroppo, in senso un po’ dispregiativo, quasi a voler sottolineare le opere fruibili e adatte alle masse festanti di adolescenti urlanti che infestano i multiplex ormai diffusi in molte città. Come se le pellicole di “qualità” si possano trovare relegate nei soli cinema d’essai o nelle rassegne dei vari oratori di provincia.
Quando, però, il termine “commerciale” si accompagna a due grandi firme del panorama cinematografico mondiale come Matt Damon e Peter Greengrass, in questo caso anche noi usciamo dalla sala veramente soddisfatti e con il piacere di aver passato una serata elettrizzante e avvincente come quella narrata in Green Zone.
Mattatore della pellicola è il soldato Miller (Matt Damon) che arriva in Iraq con un unico obiettivo: trovare le “armi di distruzione di massa” e salvare vite umane. Leale verso la propria missione e la propria squadra, e determinato a scoprire la verità mostrando tutto il suo coraggio, Miller inizia a cercare i responsabili della produzione e della potenziale detonazione con lo scopo di consegnarli alla giustizia affinché questa possa fare il suo corso.
Il soldato viene informato che una fonte, con il nome in codice di Magellano, aveva avuto un incontro con alcuni ufficiali statunitensi prima della guerra, ai quali aveva assicurato che le armi esistevano veramente e che Saddam Hussein era pronto ad utilizzarle contro il suo popolo e contro qualunque usurpatore. Ciò che Miller, però, sta scoprendo, sembra non combaciare.
Il soldato comincia a interrogare i membri dell’intelligence che hanno stilato la lista delle postazioni dove avrebbero dovuto trovarsi le armi poiché i siti indicati non portano a nessun risultato.
Non ricevendo risposte ufficiali, Miller segue le sue vie ufficiose: un veterano agente della CIA, un civile iracheno e una giornalista che lo spingeranno allo scontro con un civile a capo della DIA, con un ufficiale dei Berretti Verdi e con un gruppo occulto di iracheni un tempo influenti ed ora alle prese con alcuni progetti contrastanti.
Film di quelli che afferrano il pubblico per la camicia e lo inchiodano alla poltrona, immergendolo fin nei più minimi dettagli in una zona di guerra quale l’Iraq, Green Zone racconta la storia della fallimentare ricerca delle armi di distruzione di massa (perché, evidentemente, c’è sotto qualcosa di più grosso). Un action-thriller al cardiopalma che il valido regista riesce a regalarci, dopo le esaltanti e riuscite prove dei suoi precedenti film: gli ultimi due della serie Bourne, sempre con Matt Damon, United 93, sul volo dirottato l’11 settembre e Bloody Sunday, sul brutale assassinio di 13 manifestanti per i diritti civili nell’Irlanda del Nord.
Conosciuto e apprezzato per le sue dolorose pellicole drammatiche, frutto di ricerche meticolose, sempre interessato a conflitti globali e a fatti di attualità con rilievo sociale, mescolando la rigorosa disciplina propria dei documentaristi alla sensibilità drammatica nella costruzione e strutturazione di un plot, Greengrass – oltre ad un Matt Damon che cattura subito l’attenzione mentre corre, salta, insegue, spara e si imbatte in personaggi di ogni tipo – porta a bordo della produzione tutta una serie di collaboratori collaudati con cui ha lavorato in questi anni: lo sceneggiatore Helgeland di L.A. Confidential, il direttore della fotografia Ackroyd (che ha lavorato al Premio Oscar The Hurt Locker), lo scenografo Watkins (United 93 e The bourne supremacy), il montatore delle varie sequenze cariche di azione Christopher Rouse, il supervisore agli effetti visivi Peter Chiang e il curatore delle notevoli musiche John Powell (che ha composto anche le colonne sonore dei vari Shrek, L’Era glaciale e X-Men).
Green Zone (che poi è quel quartiere super protetto, nel centro di Baghdad, dove vivono gli americani, poco distanti dalle zone del conflitto) è un thriller a sfondo politico che vuole richiamarci alla mente (con un’evidente vena polemica di condanna) la presenza degli americani in Iraq e la corruzione presente negli alti vertici della diplomazia USA.
Una storia drammatica, che si evolve sullo sfondo di avvenimenti storici, dove ogni frammento del film è interessante, ricco di azione, esaltante e misterioso.
E il merito va anche alla collaborazione attiva di tutti quei reduci che hanno realmente preso parte al dramma iracheno narrato sullo schermo, contribuendo a creare quell’ambiente che sa di autentico e conferisce al film la necessaria, solida, base di credibilità.

Piergiorgio Ravasio