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Departures

8 aprile 2010

RECENSIONE
titolo originale: Okuribito
regia: Yojiro Takita
cast: Masahiro Motoki, Tsutomu Yamazaki, Ryoko Hirosue, Kazuko Yoshiyuki, Kimiko Yo
genere: Drammatico
paese: Giappone
anno: 2008
distribuzione: Tucker Film
uscita: 09/04/2010
9

In un’epoca convulsa e irrequieta come quella contemporanea, dove si è spesso indaffarati a correre da mattina a sera senza rimediare un po’ di tempo per pensare a se stessi, figuriamoci se qualcuno trova uno spazio per meditare su un concetto primitivo e ineluttabile, nella vita di tutti, come quello della morte.
È invece ciò che si trova, suo malgrado, a dover fare il povero Daigo, affermato violoncellista in una famosa orchestra, che improvvisamente si vede catapultato in mezzo alla strada. Per mantenere se stesso e la giovane moglie (oltre ad un figlio in arrivo), l’uomo accetta un incarico piuttosto singolare rispondendo a un annuncio.
Convinto di andare a lavorare in un’agenzia viaggi, si renderà presto conto di occuparsi sì di viaggi, ma di quelli particolari: gli ultimi ed estremi, in partenza per l’aldilà.
Nell’agenzia NK, Daigo si cimenterà con la preparazione di cadaveri, il lavaggio cerimoniale del corpo, la vestizione e il posizionamento del defunto nella bara alla presenza dei familiari.
Non facciamoci turbare da una trama apparentemente così macabra, poiché la pellicola (vincitrice di 13 Premi in altrettanti Festival, oltre all’Oscar come Migliore film straniero), scansando qualunque esagerazione e avvalendosi di uno svolgimento tipicamente orientale (con i tempi e le lentezze che gli sono propri) ha al suo attivo molti punti di forza che la rendono un piccolo, piacevole e indimenticabile gioiellino.
Dell’eleganza e della bellezza di una cerimonia che si svolge in maniere differenti nelle varie parti del mondo, presentandoci questa tradizione orientale come un rito estremamente artistico, svolto in silenzio e che richiede raffinate capacità, si fa carico il cineasta giapponese Yojiro Takita, uno dei più acclamati in patria fin dai suoi primi successi (The yen family, We are not alone o drammi come When the last sword is drawn).
A farci riflettere, invece, su vita e morte che coesistono in armonia e in maniera molto naturale, assumendone lo stesso valore e giacendo l’una a fianco dell’altra, ci pensa il protagonista Masahiro Motoki che riesce anche a sdrammatizzare il suo personaggio dosandolo con quel giusto tocco di comicità (il momento del video promozionale sull’attività dell’agenzia) e interpretando con grande intensità la rinascita di un uomo che guarda alla vita con un’ottica differente, imparando ad apprezzarla attraverso il mistero della morte.
Una bella sceneggiatura (seppur opera prima, per il grande schermo, con la firma di Kundo Koyama) supportata da una colonna sonora a tratti intensa e a tratti delicata (bella la scena del violoncello suonato in uno sconfinato prato verde, sullo sfondo di montagne che danno quel giusto senso di trascendente) per un film, sicuramente fuori dai canoni convenzionali, che non mancherà di suscitare emozioni: che si tratti di qualche risata a denti stretti o di qualche lacrima per le persone un po’ più sensibili.
Indubbiamente una bella lezione di cinema che, partendo dal tema della morte per arrivare a quello della vita, ci insegna a salutare affettuosamente tutti i nostri cari, senza dover aspettare il momento della dipartita per l’ultimo, estremo, addio; a voler loro bene, di quell’affetto indistinto, che si tratti di amore coniugale, filiale o che nasce da qualunque tipo di relazione con parenti, amici e conoscenti.
Come Daigo che, nonostante l’inevitabile incertezza e titubanza iniziale, incontrerà la morte sotto vari aspetti (una suicida dalla vita un po’ ambigua, un adolescente morto in un incidente stradale, un’anziana con la passione per i calzini bianchi), arrivando a compiere il difficile passo del perdono e lasciandosi alle spalle tanti anni di odio, invidie e ostilità, così anche gli spettatori saranno portati a riflettere su quel senso di rispetto per la vita e per il solenne momento del trapasso.
Alla fine di tutto, «La morte non è che un cancello. Con la morte non finisce niente. È un cancello, che si deve attraversare per proseguire il viaggio, e per il quale passano tutti. Io sono qua per aiutarli a passare e per dire addio a chi se ne va. E quando guardo partire qualcuno, dico: Arrivederci!».

Piergiorgio Ravasio