Posts Tagged ‘sentimenti’

The Twilight Saga – Eclipse

30 giugno 2010

RECENSIONE
titolo originale: The Twilight Saga: Eclipse
regia: David Slade
cast: Kristen Stewart,Robert Pattinson, Taylor Lautner, Ashley Green, Bryce Dallas Howard, Billy Burke. Peter Facinelli, Nikki Reed, Kellan Lutz, Dakota Fanning
genere: Romantico/Horror
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Eagle Pictures
durata: 121
uscita nelle sale: 30/10/2010
5

Si avvicina il giorno del diploma e Bella è in attesa di essere vampirizzata da Edward, il quale, però, è restio a trasformare la sua amata in un mostro. Nel frattempo il triangolo amoroso tra Edward, Bella e Jacob si complica ulteriormente quando il licantropo le dichiara il suo amore, mettendo in crisi i sentimenti di Bella. Ma una serie di misteriosi omicidi mettono in allerta i Cullen, i quali scoprono che una loro vecchia conoscenza sta reclutando vampiri neonati per attaccare Fork.
La saga di Twilight sembra non avere limiti, e dopo il successo dei primi due capitoli al cinema, Twilight e New Moon, i vampiri di Stephenie Meyer ritornano più luminosi che mai nel penultimo capitolo di una saga che sta facendo strage di cuori tra le fila degli adolescenti. Sono passati 2 anni da quando l’autrice ha pubblicato l’ultimo libro della saga, Breaking Dawn, ma sembra che non ci sia stato un arresto da parte del pubblico che continua ad avanzare inesorabile, assetato della storia d’amore di Bella ed Edward.
La sua novella teen-horror-drama, al grande schermo sta riscuotendo un successo di pubblico senza pari, oltrepassando quello dei libri. Cos’è che ha determinato un successo del genere? Sicuramente la natura della trama, impregnata di tutte quelle vicende adolescenziali che al pubblico giovanile (e non) interessano particolarmente e grazie anche a una fila di prodotti televisivi di genere che lo hanno abituato a intrecci amorosi straordinari (Dawson’s Creek, The O.C., Gossip Girl) e a storie d’amore ibridate con l’action e l’horror (Buffy, anche se è riduttivo descrivere questa serie tv in questi termini). Questo tipo di narrazione assicura un certo grado di immedesimazione: le tematiche sono semplici e molto facili da comprendere; le dinamiche emotive vengono raccontate senza complicazioni o artifici, ed infine, ha la capacità di raggiungere il cuore dello spettatore appassionato per via dell’elementarità dei sentimenti raccontati. La natura del teen drama e di Twilight, si può descrivere se si parla quindi di “romanzo di formazione sentimentale”, dove l’evoluzione dei personaggi, semplici caratterialmente e superficiali nelle loro azioni, è direttamente collegata ai legami emotivi che si istaurano tra di loro, e che portano a conseguenze importanti nella loro vita. La saga di Twilight vanta tutto questo, assicurando una fruizione godibile e raggiungibile da tutti.
Al di là di questo, il successo della saga si deve ricondurre soprattutto al cast, affascinante e carismatico agli occhi dello spettatore appassionato che non aspetta altro che vedere la storia d’amore travagliata tra Bella ed Edward. La scelta di far impersonare i due amanti da Kristen Stewart e Robert Pattinson è stata una mossa che ha reso i due attori, per il pubblico giovanile, delle icone dell’immaginario televisivo/cinematografico; la forza della saga, quindi, risiede proprio in questo elemento, dove si concentrano tutte le mosse di merchandising al fine di promuovere il volto dei due personaggi.
Eclipse, quindi non ha avuto bisogno di molta pubblicità, poiché i fan e il pubblico fedele sono rimasti in trepidante attesa, e perché ormai la saga di Twilight si è imposta nel mercato come un titolo che non ha bisogno di presentazioni. La caratteristica interessante di questo film è che la sua cifra stilistica non va ricondotta al regista – che in questo terzo capitolo è David Slade – diventata, ormai, una figura opaca e di transizione per il pubblico interessato solo alla storia e ai personaggi. In effetti, sembra di trovarsi di fronte a una serie televisiva, dove le puntate di una stagione non sono dirette dallo stesso regista o dall’ideatore della serie, bensì da una moltitudine di autori che prestano la loro mano per dirigere un episodio. Così accade solitamente con le saghe cinematografiche, in particolare con Twilight. Questo dimostra come l’autorialità del film non sia interessante agli occhi dello spettatore “tipo” di Twilight, che volge l’attenzione allo schermo solo per vedere come prosegue la trama. La cecità che caratterizza questo tipo di pubblico facilità il compito del regista, e la sceneggiatura può essere scritta e diretta con molta più facilità. Il risultato è un prodotto ambiguo, impacciato, alle volte ridicolo e attaccabile da ogni parte: dalla costruzione dei personaggi alla loro evoluzione,  sino all’inutilità delle scene action presenti principalmente verso la fine della narrazione.
In attesa dell’ultimo capitolo, che sarà diviso in due parti, si deve sottolineare come Stephanie Meyer abbia creato un fenomeno di massa di proporzioni gigantesche, affiancandosi a quel tipo di produzione letterario/cinematografica che sta caratterizzando il nuovo millennio, come ad esempio Harry Potter. La critica sterile e soggettiva verso un film come Eclipse, che non eccelle di bellezza cinematografica, diventa fine a se stessa se non si comprendono le dinamiche del pubblico.

Riccardo Rudi

Gli amori folli

1 Maggio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Les Herbes Folles
regia: Alain Resnais
cast: Sabine Azema, Andre  Dussollier, Anne Consigny, Emmanuelle Devos, Mathieu Amalric
genere: Commedia, Sentimentale
paese: Fracia
anno: 2010
distribuzione: Bim Distribuzione
durata: 104’
uscita nelle sale: 30/04/2010
7

Quando Georges trova un portafoglio al centro commerciale, il suo destino si incrocia con quello di Marguarite, in una storia d’amore “folle” e stravagante, dove le regole della passione vengono sovvertite per dar voce a uno humor del tutto privo di logica. Georges non può fare a meno di pensare a lei, e quando ha l’opportunità di poterla conoscere rovina tutto per via della sua eccessiva voglia di incontrarla. D’altra parte, però, Marguarite non resiste alla tentazione di conoscere l’uomo che le ha trovato il portafoglio, avvolto in un alone di mistero, e il loro incontro di fronte a un cinema cambierà la vita di entrambi.
A novant’anni Alain Resnais non demorde, e il regista di Parole, Parole, Parole, dal 1948, continua  restituirci il suo sguardo rocambolesco in una sceneggiatura di incredibile fascino e originalità. Tratto dal romanzo L’Incident di Christian Gailly, Gli amori folli si presenta subito come un film puro, dove la meraviglia e l’incanto di una storia non lineare restituiscono suoni e visioni andati persi nelle convenzioni narrative ed estetiche hollywoodiane. Alain Resnais dà fondo a tutta la sua conoscenza cinematografica per creare una pellicola dove i vari riferimenti alla cultura filmica vengono mescolati in un calderone pieno di follia e vitalità.
Il film sembra un brano improvvisato, e come nella musica jazz ci sono variazioni inattese senza seguire uno standard compositivo: così ha fatto Alain Resnais, il quale ha espresso in pieno la sua volontà di trasporre questa sensazione di musicalità nella pellicola, e che nel libro era già accentuata. I due protagonisti, infatti, sembrano essere mossi da pensieri e motivazioni che vanno al di là della comprensione, e si è spiazzati di fronte a determinate azioni e a flussi di coscienza che prendono vita in piccole finestre sovrimpresse sull’immagine, come per dar voce e visione dei propri pensieri.
L’irrazionale regna sovrano nel film, come se l’intenzione del regista fosse quella di rappresentare proprio l’irrappresentabile sotto la luce di quanto provano i due protagonisti: un irrefrenabile ricerca dell’amore e il desiderio di amare una figura ideale, e sono i dialoghi a giocare un ruolo fondamentale nell’esprimere questa irrefrenabile ricerca. Tanto divertenti quanto inverosimili, sfiorano il nonsense più puro ma proprio per questa peculiarità e l’assenza di una logicità comprensibile il film potrebbe risultare ostico agli occhi di molti, che forse ricercano una pellicola dove l’amore sia dettata sotto leggi ferree al quale il cinema classico ci ha abituato, ossia quell’amore realistico e ostacolato da contrasti drammatici (o anche comici).
Gli amori folli è ribellione, è comicità francese, forse troppo lontana da noi, forse troppo elitaria, ma Alain Resnais ci regala l’ultima gemma del suo vastissimo repertorio, tanto contemporaneo quanto rivoluzionario nel campo cinematografico.

Riccardo Rudi

La bocca del lupo

19 febbraio 2010

Recensione
titolo originale: La bocca del lupo
regia: Pietro Marcello
cast: Vincenzo Motta, Mary Monaco
genere: Documentario
paese: Italia
anno: 2009
distribuzione: BIM
durata: 76′
uscita nelle sale: 19/02/2010
9

Opera difficile sia nel ritmo che nella costruzione visiva, La bocca del lupo arriva nelle sale italiane dopo aver vinto il primo premio al più recente Festival di Torino, dove ha raccolto molti altri riconoscimenti.
Una distribuzione insperata da parte della BIM per un film, diretto da Pietro Marcello, straordinario nel raccontare le anime nascoste e malate di due persone invisibile e per questo ancora più lucenti.
Il regista (e direttore della fotografia) racconta di Enzo, appena uscito dal carcere e di ritorno dalla sua amata Mary, transessuale conosciuto in carcere; il racconto della loro travagliata storia si fonde con la ricerca di una Genova divisa tra passato e presente.
Una sorta di documentario in senso molto lato, dove il pedinamento dei due personaggi si mischia con ricerche di repertorio che ricordano le opere di Gianikian e Ricci Lucchi e una vena di narrazione che dà paradossalmente ancora più spessore.
Il film racconta i sentimenti e di un uomo e di una donna attraverso la ricerca estetica ed emotiva sul tessuto urbano su una città misteriosa e sostanzialmente sconosciuta come Genova (non a caso si pensa spesso a De Andrè, durante il film), la ricerca di sogni puri per un popolo sottoproletario che specchia la sua anima nel cavalli oscuri della città, arrivando a una miscela forte eppure misteriosa tra immagini e parole, dove le seconde appaiono sempre fuori campo o non inquadrate a circoscrivere una linea d’ombra tra verità e racconto che irrompe nell’ultima parte quando i due personaggi parlano guardando in camera.
Ed è una sorta di film a sé che esplicita e unifica il gioco sui vari livelli del racconto e della narrazione che la voce narrante conduce sul filo della sospensione fiabesca, dove il reale è racconto allo stato puro.
Marcello segue i suoi personaggi, li incornicia di continuo in ambienti (interni o esterni) che hanno parvenze surreali, come la scena nel bar, ricostruisce, rimonta, vira e distorce le immagini antiche per poi concentrare l’emotività reale e non mediata dei personaggi in sguardi, gesti e dettagli che appaiono più veri tanto più sono frutto di scelte linguistiche precise.
E vince la sfida di fare un potente film (anti)pasoliniano, che riflette sul reale e l’immaginario, raccontando una storia più grande del luogo in cui nasce. In poche parole uno dei migliori film dell’anno.

Emanuele Rauco

Avatar

14 gennaio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Avatar
regia: James Cameron
cast: Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver, Michelle Rodriguez, Stephen Lang, Giovanni Ribisi, Wes Studi, CCH Pounder
genere: Fantascienza
paese: USA
anno: 2009
distribuzione: 20th Century Fox
durata: 166′
uscita nelle sale: 15/01/2010
8

Ci sono voluti più di dieci anni al regista James Cameron per portare al cinema la sua visione di Pandora, un mondo alieno abitato da una popolazione indigena denominata Na’vi. Un sogno accarezzato sin da bambino, quando l’immaginazione lo trasportava in mondi lontani e isole misteriose, ispirato da film e letture di fantascienza di cui è appassionato. Oggi quel sogno è realtà, grazie anche ad una nuova tecnologia, sviluppata dallo stesso Cameron e da Weta Digital, composta di cineprese che rendono gli effetti speciali in presa diretta, in modo da poter guardare gli attori sul monitor già con le sembianze aliene e dirigerli già immersi nell’ambiente fantastico.
Entriamo in questo mondo alieno attraverso gli occhi di Jake Sully (Sam Worthington), un veterano di guerra costretto sulla sedia a rotelle. Jake viene chiamato a prendere il posto del fratello gemello deceduto, nel programma Avatar. Tale piano scientifico prevede che gli esseri umani vengano collegati ad una macchina che ne crei un surrogato Na’vi, l’avatar per l’appunto, che permetta loro di muoversi liberamente sul pianeta e di interagire con gli esseri che lo popolano. Il corpo militare al vertice del programma ha come fine ultimo quello di “conquistare” Pandora per estrarre dal sottosuolo un particolare minerale che potrebbe risolvere la crisi energetica sulla Terra. Il compito di infiltrarsi tra i Na’vi e convincerli a sgombrare viene affidato a Jake, il quale può vantare un valoroso passato da Marine diversamente dal resto del team costituito da scienziati. L’incontro con la cultura indigena e, soprattutto, con la suadente Neytiri (Zoe Saldana) renderà la missione più difficile del previsto.
James Cameron sa bene quel che fa e cala lo spettatore nella storia in maniera graduale, abituandolo al mondo e alle tradizioni Na’vi poco per volta. In uno spettacolo così sontuoso, l’effetto 3D adottato dal regista diventa un mezzo per perfezionare l’esperienza, più che un fine per ottenere un senso di meraviglia. La terza dimensione, infatti, è raramente utilizzata per creare la sensazione degli oggetti che escono dallo schermo, quanto invece per dare profondità visiva e spessore narrativo alla storia. Si è talmente immersi nel mondo di Pandora che si dimentica presto di indossare gli speciali occhialini.
Ma il film non è solamente un tripudio di effetti speciali, al suo interno racchiude un importante significato. La storia messa in scena da Cameron, infatti, può essere paragonata a quella delle culture aborigene delle Americhe, violentate e sopraffatte dal colonialismo del vecchio continente. Avatar in tal senso ricalca le orme di classici come Balla coi lupi.
Il rispetto delle culture indigene è alla base della storia; il protagonista, attraverso il suo viaggio alla scoperta di un nuovo mondo, dovrà imparare ad “aprire gli occhi”. Durante uno dei momenti più intimi Neytiri dice a Jake “Nessuno può insegnarti a vedere, ci devi riuscire da solo”, indicando un lungo percorso verso la comprensione e tolleranza.
Il lavoro di Cameron non si ferma qui; il regista impreziosisce la trama di diversi piani di lettura, dando particolare importanza al ruolo di madre natura, su Pandora ci si può fisicamente connettere uno con l’altro creando una coscienza comune con flora e fauna, implicando connotazioni religiose e una visione della vita New Age che unisce gli esseri viventi al pianeta e, in ultimo, all’universo.
I Na’vi finiscono per rappresentare, quindi, la versione più pura dell’umanità, un senso di spiritualità e d’ideali andati perduti. Il film è uno spettacolo per gli occhi e per la mente, che strabilia con gli effetti visivi e induce alla riflessione con i suoi messaggi velati.

dal nostro inviato a Los Angeles, Michael Traversa