Posts Tagged ‘effetti speciali’

Amabili Resti

12 febbraio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Lovely Bones
regia: Peter Jackson
cast: Saorise Ronan,Stanley Tucci, Mark Wahlberg, Rachel Weisz,Susan Sarandon.
genere: Drammatico
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: DreamWorks Pictures
durata: 139
uscita nelle sale: 12/02/2010
7

Quando Susie Salmon viene brutalmente uccisa, ha solo 14 anni; il corpo non viene trovato, così come l’assassino, l’insospettabile vicino di casa George Harvey. La perdita di Susie fa cadere nella disperazione la sua famiglia, ma la sua morte non è la fine: la ragazza si ritrova obbligata in un limbo senza tempo, un mondo apparentemente perfetto e fantastico da cui può vedere la vita sulla terra, dei suoi familiari e del suo assassino, scorrere. Le indagini della polizia, in merito al suo omicidio, arrivano a un vicolo cieco, ma il padre continua a cercare il carnefice della figlia. Mentre ogni membro della famiglia affronta il proprio dolore, e Susie affronta le proprie emozioni nell’Aldilà con l’aiuto di una misteriosa ragazza, il suo assassino sta per mietere un’altra vittima.
Nel 2002 Alice Sebold pubblica Amabili Resti, un romanzo coinvolgente, un thriller, un fantasy, un dramma, una favola dark, una storia dove è impossibile trovare un genere preciso. La Film4 Production, preso in mano il libro della Sebold, ha incaricato Peter Jackson di dar voce alla vita e la morte di Susie Salmon.
Affascinato immediatamente dalla componente fantasy, il regista, con l’incredibile lavoro della Weta Digital (Il signore degli Anelli, Avatar), ha voluto interpretare e creare il Cielo di Susie, dando sfogo alla più infinita immaginazione. Come in un quadro surrealista, il Cielo (o Limbo) viene rappresentato come un luogo in continua trasformazione, dove oggetti e panorami vengono accostati in modo quasi metafisico, dando vita a immagini di incredibile bellezza, sovvertendo tutte le regole fisiche del mondo. Il punto di maggior forza del film risiede proprio nella ricostruzione di questo luogo, malinconico e spaventosamente affascinante nei suoi colori e suggestioni emotive.
Accanto a questi elementi fantastici, il thriller e il dramma incatenano lo spettatore alla cruda verità del mondo, fatto di ingiustizia e dolore. La storia viene dipinta immediatamente con toni cupi: la voce fuori campo della ragazza è un triste annuncio della sua morte. Il suo destino è già segnato, e lo spettatore non può fare altro che assistere alla macabra e agghiacciante esecuzione da parte dell’assassinio, il quale conduce Susie in una trappola claustrofobica . La violenza consumata viene quasi censurata attraverso in magnifico gioco di immagini oniriche e simboliche; il punto di massima tensione è tratteggiato proprio in quella sequenza, rasentando l’horror.
Il sovrannaturale viene introdotto in maniera poco convincente con il personaggio di Ruth Connors, ragazza che sembra avere i poteri di una medium, e che riesce ad avvertire la presenza di Susie. A questo personaggio, il cui ruolo poteva essere meglio sviluppato, vengono riservate poche sequenze, oltretutto non molto interessanti. Immancabile è anche la parte teen-drama, a cui si tenta di dare un’importanza che cade inevitabilmente in una melensa interpretazione dei sentimenti di una teenager.
Se il massimo della potenza narrativa viene espressa proprio nelle scene di Susie, il punto più basso viene toccato da una sceneggiatura poco affidabile e da uno sviluppo della trama poco appassionante. L’indagine del padre di Susie viene malamente orchestrata, poiché nel frattempo si cercava di dar voce alla disperazione della famiglia, finendo col dare un ritmo lento e monotono alle vicende che accadono sulla terra. Anche le varie dinamiche familiari non sono molto coinvolgenti, e alcuni personaggi come la sorella di Susie hanno un ruolo poco convincente, e un insipido momento di gloria verso l’ultima parte del film, così come la nonna (Susan Sarandon), personaggio con l’impreciso ruolo di “sdrammatizzare” la trama.
Tirando le somme, Amabili Resti si discosta parecchio dal libro. Gli adattamenti cinematografici obbligano tagli della storia, e coloro che hanno letto il romanzo potranno cogliere profonde differenze. Il tocco di Peter Jackson però è una garanzia, e anche se ci sono parecchie stonature nell’andamento della trama, il coinvolgimento è innegabile grazie a sequenze magnificamente costruite.

Riccardo Rudi

Bangkok Dangerous

30 gennaio 2010

Recensione
titolo originale: Bangkok Dangerous
regia: Oxide Pang Chun, Danny Pang
cast: Nicolas Cage, Shahkrit Yamnarm, Charlie Yeung, Panward Hemmanee, James With, Philip Waley, Shaun Delaney
genere: Azione, Thriller
paese: USA
anno: 2008
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 29/01/2010
6

Capita spesso di assistere, nel variegato mondo della celluloide, ai cosiddetti sequel, prequel, riedizioni o rifacimenti. E fino a qui nulla di strano. Più raro, invece, trovare un regista che, a distanza di dieci anni, mette mano alla macchina da presa per rifare lo stesso film realizzato in precedenza.
È il caso di una coppia abbastanza conosciuta nel mondo del cinema: loro sono i fratelli Pang (hanno diretto film di culto tra cui The eye e The messengers) e il film in questione è Bangkok Dangerous, da loro stessi diretto nel lontano 1999 ed ora riproposto sul grande schermo presumibilmente con l’intento di bissare il successo della prima versione (la precedente, infatti, ricevette molti consensi nei vari festival dove fu presentata).
Sullo sfondo di una Bangkok corrotta, frenetica ed incasinata quanto basta (vanno di moda, già da qualche anno, produzioni, location e script di stampo orientale) si muove nell’ombra e nel buio della città un killer professionista a cui dà viso il bravo Nicolas Cage. Qui si chiama Joe ed ha una missione molto importante e delicata: è arrivato in Thailandia su incarico del boss Surat per portare a termine ben quattro omicidi di importanti personalità locali.
Da grande esperto del mestiere e non volendo esporsi troppo in prima linea, Joe ingaggia l’aiutante Kong: uno scagnozzo del posto che, lautamente ricompensato, farà da tramite tra lui e Surat diventando, nel contempo, anche allievo di Joe dal quale apprenderà le tecniche e le regole del “mestiere”.
Gli incontri di Joe culmineranno con l’inaspettata conoscenza con la bella e giovane sordomuta Fon. Un incontro, questo, che gli cambierà radicalmente la vita, non solo dal punto di vista professionale ma anche dal punto di vista umano.
Nonostante gli evidenti ritocchi a livello di sceneggiatura (nella versione del 1999 il Joe asiatico e sordo lascia il posto ad un killer in versione americana e senza alcuna limitazione fisica) il film sfrutta i classici cliché del genere “action” senza aggiungere grandi novità. Ma non per questo ci sentiamo di condannare l’opera dei fratelli Pang e la riuscita interpretazione di un Nicolas Cage che, anche negli abiti del killer, sa muoversi con abilità e maestria risultando, in definitiva, uno dei tanti interpreti che dà un fondamentale contributo alla riuscita di qualunque film.
Impreziosito da una bella fotografia (che risalta il contrasto tra la natura pacifica del paese e le azioni di uno spietato killer) e da un adeguato montaggio, Il codice dell’assassino scorre fluidamente andando a finire esattamente dove ce lo si aspetta: la cultura di un nuovo paese e le persone che vi si incontrano, alle volte ci mostrano i nostri difetti avviandoci a quel processo di redenzione che ci apre la vita ad una seconda possibilità.

Piergiorgio Ravasio

Avatar

14 gennaio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Avatar
regia: James Cameron
cast: Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver, Michelle Rodriguez, Stephen Lang, Giovanni Ribisi, Wes Studi, CCH Pounder
genere: Fantascienza
paese: USA
anno: 2009
distribuzione: 20th Century Fox
durata: 166′
uscita nelle sale: 15/01/2010
8

Ci sono voluti più di dieci anni al regista James Cameron per portare al cinema la sua visione di Pandora, un mondo alieno abitato da una popolazione indigena denominata Na’vi. Un sogno accarezzato sin da bambino, quando l’immaginazione lo trasportava in mondi lontani e isole misteriose, ispirato da film e letture di fantascienza di cui è appassionato. Oggi quel sogno è realtà, grazie anche ad una nuova tecnologia, sviluppata dallo stesso Cameron e da Weta Digital, composta di cineprese che rendono gli effetti speciali in presa diretta, in modo da poter guardare gli attori sul monitor già con le sembianze aliene e dirigerli già immersi nell’ambiente fantastico.
Entriamo in questo mondo alieno attraverso gli occhi di Jake Sully (Sam Worthington), un veterano di guerra costretto sulla sedia a rotelle. Jake viene chiamato a prendere il posto del fratello gemello deceduto, nel programma Avatar. Tale piano scientifico prevede che gli esseri umani vengano collegati ad una macchina che ne crei un surrogato Na’vi, l’avatar per l’appunto, che permetta loro di muoversi liberamente sul pianeta e di interagire con gli esseri che lo popolano. Il corpo militare al vertice del programma ha come fine ultimo quello di “conquistare” Pandora per estrarre dal sottosuolo un particolare minerale che potrebbe risolvere la crisi energetica sulla Terra. Il compito di infiltrarsi tra i Na’vi e convincerli a sgombrare viene affidato a Jake, il quale può vantare un valoroso passato da Marine diversamente dal resto del team costituito da scienziati. L’incontro con la cultura indigena e, soprattutto, con la suadente Neytiri (Zoe Saldana) renderà la missione più difficile del previsto.
James Cameron sa bene quel che fa e cala lo spettatore nella storia in maniera graduale, abituandolo al mondo e alle tradizioni Na’vi poco per volta. In uno spettacolo così sontuoso, l’effetto 3D adottato dal regista diventa un mezzo per perfezionare l’esperienza, più che un fine per ottenere un senso di meraviglia. La terza dimensione, infatti, è raramente utilizzata per creare la sensazione degli oggetti che escono dallo schermo, quanto invece per dare profondità visiva e spessore narrativo alla storia. Si è talmente immersi nel mondo di Pandora che si dimentica presto di indossare gli speciali occhialini.
Ma il film non è solamente un tripudio di effetti speciali, al suo interno racchiude un importante significato. La storia messa in scena da Cameron, infatti, può essere paragonata a quella delle culture aborigene delle Americhe, violentate e sopraffatte dal colonialismo del vecchio continente. Avatar in tal senso ricalca le orme di classici come Balla coi lupi.
Il rispetto delle culture indigene è alla base della storia; il protagonista, attraverso il suo viaggio alla scoperta di un nuovo mondo, dovrà imparare ad “aprire gli occhi”. Durante uno dei momenti più intimi Neytiri dice a Jake “Nessuno può insegnarti a vedere, ci devi riuscire da solo”, indicando un lungo percorso verso la comprensione e tolleranza.
Il lavoro di Cameron non si ferma qui; il regista impreziosisce la trama di diversi piani di lettura, dando particolare importanza al ruolo di madre natura, su Pandora ci si può fisicamente connettere uno con l’altro creando una coscienza comune con flora e fauna, implicando connotazioni religiose e una visione della vita New Age che unisce gli esseri viventi al pianeta e, in ultimo, all’universo.
I Na’vi finiscono per rappresentare, quindi, la versione più pura dell’umanità, un senso di spiritualità e d’ideali andati perduti. Il film è uno spettacolo per gli occhi e per la mente, che strabilia con gli effetti visivi e induce alla riflessione con i suoi messaggi velati.

dal nostro inviato a Los Angeles, Michael Traversa