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Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti

11 ottobre 2010

RECENSIONE
titolo originale: Loong Boonmee raleuk chat
regia: Apichatpong Weerasethakul
cast: Sakda Kaewbuadee, Jenjira Pongpas, Thanapat Saisaymar
genere: Commedia, Fantasy
paese: Thailandia
anno: 2010
distribuzione: Bim Distribuzione
durata: 114′
uscita nelle sale: 15/10/2010
7

Non è semplice parlare di questo film, soprattutto se non si conosce la cinematografia in questione. Eppure, al di là della conoscenza, da questo film si può apprendere qualcosa: il cinema può tornare alle origini primordiali attraverso una totale immersione nell’animo umano. Si torna quindi a uno stato dove le sensazioni oltrepassano le mere considerazioni estetiche e tecniche, dove la storia è importante in relazione a una determinata semplicità e straordinarietà della vita. Per chi non conoscesse Apichatpong Weersethakul, la sua è una poetica delicata e toccante, e racconta tutto con un linguaggio insolito, apparentemente incomprensibile ma in realtà in piena sintonia con i linguaggi della mente e dell’inconscio.
Il film ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes, ma questo consolida un dato di fatto: critica e pubblico sono due entità totalmente separate. La critica ha accettato a pieni voti questo film, lo spettatore avrà molte riserve e problemi di digestione. Il pubblico non abituato si troverà spiazzato e annoiato da come tutto si svolge senza una minima logica “occidentale”. La differenza tra il cinema nostrano (occidentale) e quello orientale si fa netta e decisa, e le differenze sono: lo stile di ripresa, statica e priva di artifici, finalizzata semplicemente a raccontare l’immagine come colori e sensazioni, come ambiente che racconta i personaggi; la storia, che ai nostri occhi può risultare incomprensibile poiché non asseconda la nostra ricerca di un cinema dello svago, della linearità divertimento e del viaggio di un personaggio tra eventi e situazioni a noi familiari; infine c’è l’immaginario che rappresenta, che nel bene (soprattutto) o nel male non è il nostro. Il film ha come fonte la mitologia, la storia e la cultura thailandese e non solo. È incredibile come l’autonomia di questo cinema sia in perfetto contrasto con l’industria ormai meccanizzata “hollywoodiana”, dove l’azione, l’effetto visivo, la dinamicità del racconto e gli attori professionisti mettono in moto una macchina complessa e purtroppo prevedibile quale è il cinema occidentale.
In Lo zio Boonmee che si ricorda le sue vite precedenti non c’è nulla di questo: gli attori sembrano quasi essere (ri)presi in quotidianità lenta e per certi aspetti noiosa. Eppure, in questo raccontare della quotidianità, c’è un dettaglio che non si può non notare: il gusto del semplice e dell’ordinario. A un certo punto lo zio Boonme racconta una tragica esperienza  del suo passato; l’ordinarietà di sedersi con qualcuno e parlare non è mai stato così di impatto. Il film è disseminato di dettagli ai particolari; ma questi dettagli non sono voluti, bensì sembra quasi che essi si trovino per caso davanti alla macchina da presa. E mentre si seguono le vicende, l’occhio cade su un particolare che rende l’immagine meravigliosamente “ferma” nella vita che tutti noi conosciamo.
L’irruzione dello straordinario però è principalmente il mito e le creature che popolano il film. Creature mitologiche e sovrumane si affiancano all’uomo comune; eventi straordinari diventano eventi ordinari; fantasmi del passato che ritornano nella vita del protagonista; il concetto di karma e destino che vengono narrati con favole e leggende. Noi non possiamo fare altro che rimanere sbigottiti di fronte all’incredibile fusione di quotidianità e fantasia, di storia comune e storia leggendaria. Questo mix di generi designa un particolare: il cinema puro è il cinema libero da ogni classificazione.

Riccardo Rudi

Bangkok Dangerous

30 gennaio 2010

Recensione
titolo originale: Bangkok Dangerous
regia: Oxide Pang Chun, Danny Pang
cast: Nicolas Cage, Shahkrit Yamnarm, Charlie Yeung, Panward Hemmanee, James With, Philip Waley, Shaun Delaney
genere: Azione, Thriller
paese: USA
anno: 2008
distribuzione: Eagle Pictures
uscita: 29/01/2010
6

Capita spesso di assistere, nel variegato mondo della celluloide, ai cosiddetti sequel, prequel, riedizioni o rifacimenti. E fino a qui nulla di strano. Più raro, invece, trovare un regista che, a distanza di dieci anni, mette mano alla macchina da presa per rifare lo stesso film realizzato in precedenza.
È il caso di una coppia abbastanza conosciuta nel mondo del cinema: loro sono i fratelli Pang (hanno diretto film di culto tra cui The eye e The messengers) e il film in questione è Bangkok Dangerous, da loro stessi diretto nel lontano 1999 ed ora riproposto sul grande schermo presumibilmente con l’intento di bissare il successo della prima versione (la precedente, infatti, ricevette molti consensi nei vari festival dove fu presentata).
Sullo sfondo di una Bangkok corrotta, frenetica ed incasinata quanto basta (vanno di moda, già da qualche anno, produzioni, location e script di stampo orientale) si muove nell’ombra e nel buio della città un killer professionista a cui dà viso il bravo Nicolas Cage. Qui si chiama Joe ed ha una missione molto importante e delicata: è arrivato in Thailandia su incarico del boss Surat per portare a termine ben quattro omicidi di importanti personalità locali.
Da grande esperto del mestiere e non volendo esporsi troppo in prima linea, Joe ingaggia l’aiutante Kong: uno scagnozzo del posto che, lautamente ricompensato, farà da tramite tra lui e Surat diventando, nel contempo, anche allievo di Joe dal quale apprenderà le tecniche e le regole del “mestiere”.
Gli incontri di Joe culmineranno con l’inaspettata conoscenza con la bella e giovane sordomuta Fon. Un incontro, questo, che gli cambierà radicalmente la vita, non solo dal punto di vista professionale ma anche dal punto di vista umano.
Nonostante gli evidenti ritocchi a livello di sceneggiatura (nella versione del 1999 il Joe asiatico e sordo lascia il posto ad un killer in versione americana e senza alcuna limitazione fisica) il film sfrutta i classici cliché del genere “action” senza aggiungere grandi novità. Ma non per questo ci sentiamo di condannare l’opera dei fratelli Pang e la riuscita interpretazione di un Nicolas Cage che, anche negli abiti del killer, sa muoversi con abilità e maestria risultando, in definitiva, uno dei tanti interpreti che dà un fondamentale contributo alla riuscita di qualunque film.
Impreziosito da una bella fotografia (che risalta il contrasto tra la natura pacifica del paese e le azioni di uno spietato killer) e da un adeguato montaggio, Il codice dell’assassino scorre fluidamente andando a finire esattamente dove ce lo si aspetta: la cultura di un nuovo paese e le persone che vi si incontrano, alle volte ci mostrano i nostri difetti avviandoci a quel processo di redenzione che ci apre la vita ad una seconda possibilità.

Piergiorgio Ravasio