RECENSIONE
titolo originale: Percy Jackson & The Olympians: The lightning thief
regia: Chris Columbus
cast: Logan Lerman, Brandon T. Jackson, Alexandra Daddario, Catherine Keener, Sean Bean, Pierce Brosnan, Rosario Dawson, Uma Thurman
genere: Fantasy
paese: Canada, USA
anno: 2010
distribuzione: 20th Century Fox
durata: 118′
uscita nelle sale: 12/03/2010
Percy Jackson è un ragazzino come tanti altri, o almeno è quello che vogliono farci credere in nome dell’identificazione.
Provassero con una formula più reale, del tipo: Percy, figlio di uno sportellista delle poste e di una presentatrice Avon, faceva il commesso da Ikea ed era quanto di più medio potesse esistere. Oppure, con una più sincera: Percy Jackson era un figo da paura, aveva poteri magici sbalorditivi e conquistava le ragazze inarcando il sopracciglio sinistro.
Un po’ d’onestà! Non è un ragazzo come tanti altri: primo, perché non tutti i diciassettenni sono dei fotomodelli camuffati da sfigati; la maggior parte, sono sfigati veri e propri. Secondo, non tutti, dopo gran parte dell’adolescenza passata da schifo, scoprono di essere atletici semidei nelle cui mani è posto il destino dell’umanità.
Partiamo da qui. Ignaro d’esser figlio del Dio Poseidone (Kevin McKidd), Percy (Logan Lerman) trascorre le giornate tra scuola, piscina e casa, in un sobborgo di New York. La sua vita cambia (ma va’?!) quando dall’Olimpo, ricollocato da Zeus (Sean Bean), in una spinta paurosamente glamour, in cima all’Empire State Building, vengono rubate le folgori olimpiche, la prima vera arma di distruzione di massa. Accusato del furto – poiché progenie di un’antagonista di Zeus – viene così a conoscenza della sua vera identità, iniziando un viaggio tra mostri mitologici, discese nell’Averno e campi di addestramento eroici, per scagionarsi e scongiurare una guerra divina che porterebbe il mondo al collasso.
E’ questa, a grandi linee, la storia di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo – Il ladro di fulmini, diretto dal veterano del cinema per ragazzi, Chris Columbus, e tratto dall’omonima saga scritta da Rick Riordan.
I fantasy sono un terreno insidioso: commettere passi falsi, affondando in banalità e ridicolaggini generazionali di sorta, è facile quasi quanto sottovalutare il pubblico al quale essi sono rivolti.
Meno semplice, invece, è riuscire a reinventare con creatività e ritmo, storie che per loro natura sono basate su archetipi e topoi vecchi come il cucco, capaci di evolversi in modi inaspettati e sorprendenti, secondo i tempi o il gusto della gente. E’ il caso de Il Signore degli anelli o Harry Potter, realizzati, in linea di massima, secondo questa logica: fedeltà al testo (per quanto possibile), rispetto dei linguaggi, ricchezza dei contenuti, sviluppo dei personaggi e cura dei particolari.
Il successo di queste saghe, ahinoi, ha innescato, nelle case di produzione, un meccanismo perverso: la corsa al best seller fantasy.
Se la fretta, nella vita, è cattiva consigliera, nella realizzazione di un film è una vera e propria stronza traditrice! Infatti, gettando a tempo di record il volume di turno in mano al primo sceneggiatore che passa e di lì al primo regista disponibile, il risultato non può non essere quantomeno discutibile.
Ecco spiegati “mostri” del calibro di Eragon e La bussola d’oro (diretto dal solitamente bravo Chris Weitz, al tempo probabilmente sotto antidepressivi) che, pur venendo da saghe venerate o – come il secondo – di altissima qualità, hanno fatto flop: ridotti a stupidi videogiochi malfatti, nei quali pure gli effetti speciali, panacea di tutti i film carenti di storia e/o sceneggiatura solida, nulla hanno potuto per evitare la catastrofe.
A far compagnia a Weitz, nel limbo dei fagocitati da questo diabolico meccanismo, ora c’è anche un veterano come Chris Columbus che, pur avendo dimostrato ben altro approccio al genere nei primi due Harry Potter, con Percy Jackson, casca rovinosamente nel gorgo dell’inutilità.
Il lavoro di Columbus non è disastroso come i due illustri casi citati in precedenza, ma, dopo aver assistito alla proiezione, nasce un “perché?” grande come una casa, riguardo all’utilità, all’originalità (il fantasma di Potter è ovunque) e all’efficacia di quanto visto.
Trascurando interpretazioni generalmente dignitose – su tutti, Catherine Keener nel ruolo della madre di Percy – e le simpatiche partecipazioni di Uma Thurman (Medusa) e Rosario Dawson (Persefone), il film è un pompatissimo inno al pressapochismo narrativo, dove tutto è pensato per essere cool & catchy, senza una minima costruzione di base, credibilità nei dialoghi e minuziosità nel caratterizzare luoghi (stereotipatissimi) e personaggi (paurosamente piatti), dai quali traspaiono solo poche briciole di emotività.
L’obiettivo di Columbus, probabilmente, era quello di strizzare l’occhio alla High School Musical generation – in questo periodo assai remunerativa – senza capire che gli amanti del fantasy più diversificati (ed educati alla visione) di quanto si pensi.
Anche una buona intuizione, come l’ambientazione contemporanea, si perde nell’eccesso, per colpa di trend modaioli (le Converse alate del Dio Hermes sono un po’ troppo), slang da ghetto, coreografie alla Step Up e Lady Gaga a go go.
Manca l’equilibrio con la sfera mitica, rappresentata, invece, secondo una visione per giunta troppo ortodossa, intrisa, però, da una fastidiosissima patina di artificiosità quasi televisiva (i costumi sembrano fondi di magazzino di un B-Movie).
Il livello degli effetti speciali è schizofrenico: si va da ottime scene di lotta aerea e affascinanti panoramiche infernali, a conversazioni tra Percy e i gigantissimi Dei, che sembrano realizzate con vecchissimi trucchi di prospettiva, su Green screen che urlano la loro presenza.
Columbus, senza le idee o il brio che l’hanno sempre contraddistinto, realizza un film deludente, lasciandosi sfuggire dalle mani una storia potenzialmente intrigante e nuova.
Percy, rassegnati. Di Jackson, continuiamo a preferire decisamente Peter!
Marco Cocco