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The Final Destination 3D

20 Maggio 2010

RECENSIONE
titolo originale: The Final Destination 3D
regia: David R. Ellis
cast: Bobby Campo, Shantel VanSanten, Haley Webb, Nick Zano
genere: Horror
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Warner Bros.
uscita: 21/05/2010
5

Nick, durante una giornata di svago insieme ai suoi amici all’autodromo, ha una visione di un terribile incidente che causa numerose vittime: alcune macchine da corsa vengono coinvolte in un incidente che si estende sino ai palchi causando morti orribili. Preso dal panico Nick convince i suoi amici ad andarsene, e proprio alcuni attimi dopo, la sua visione si avvera. Grazie alla premomizione, Nick, i suoi amici e alcuni sopravvissuti sono scampati alla morte, o almeno così sembra: a quanto pare, infatti, la morte ha altri piani per i superstiti dell’incidente, e quando Nick e la sua fidanzata Lori capiscono il pericolo che corrono tutti loro, è già troppo tardi.
Questo nuovo Final Destination sembra avvalersi di un’estetica diversa rispetto ai suoi tre predecessori, o almeno così ci voglio far credere i produttori e il regista David Ellis, che con il 3D promettono un coinvolgimento e una tensione incredibile. Ovviamente, chi conosce la serie sa che non si deve aspettare chissà quale storia interessante e piena di colpi di scena, ma una pellicola mediocre e che non pretende di essere un horror movie degno di stare nell’hit parade dell’autorialità.
Al di là dell’effetto ottico del 3D, il franchise di Final Destination rimane lo stesso, con i suoi stereotipi e i suoi cliché, con la sua sceneggiatura banale e la sua storia ridicola. Ci si trova davanti a uno splatter dove un gruppo di ragazzi del college, privi di carattere, bellocci ed estremamente coriacei a morire, affrontano senza la minima speranza un destino spietato.
Come gli altri Final Destination, anche questo riserva una dose di divertimento che nel bene o nel male riesce a strappare un sorriso per le assurdità delle morti. Di fronte a sequenze in cui la morte inizia a manifestarsi con il solito vento spiacevole che muove oggetti pericolosi, e in cui un macchinoso succedersi di coincidenze si trasformano in una trappola mortale, la tensione è assicurata, soprattutto perché ci si aspetta un evento che infastidirà i nostri sensi: ad esempio la scena in un cui una delle superstiti dell’autodromo sta facendo la pedicure, e la macchina da presa si sofferma con un dettaglio quasi maniacale sulle unghie della donna che vengono pulite con uno strumento metallico e affilato, che stuzzica i sensi dello spettatore, mentre intorno a lei iniziano a delinearsi una pericolosa serie di eventi preannunciano un disgustoso finale.
Al di là della superficialità della sceneggiatura, dell’incredibile povertà narrativa e di innovazione rispetto ai titoli precedenti, Final Destination rimane un titolo godibile proprio per queste caratteristiche. Un’altra nota di merito è la lunghezza della pellicola, che non sfiora nemmeno i 90 minuti.

Riccardo Rudi

Gli amori folli

1 Maggio 2010

RECENSIONE
titolo originale: Les Herbes Folles
regia: Alain Resnais
cast: Sabine Azema, Andre  Dussollier, Anne Consigny, Emmanuelle Devos, Mathieu Amalric
genere: Commedia, Sentimentale
paese: Fracia
anno: 2010
distribuzione: Bim Distribuzione
durata: 104’
uscita nelle sale: 30/04/2010
7

Quando Georges trova un portafoglio al centro commerciale, il suo destino si incrocia con quello di Marguarite, in una storia d’amore “folle” e stravagante, dove le regole della passione vengono sovvertite per dar voce a uno humor del tutto privo di logica. Georges non può fare a meno di pensare a lei, e quando ha l’opportunità di poterla conoscere rovina tutto per via della sua eccessiva voglia di incontrarla. D’altra parte, però, Marguarite non resiste alla tentazione di conoscere l’uomo che le ha trovato il portafoglio, avvolto in un alone di mistero, e il loro incontro di fronte a un cinema cambierà la vita di entrambi.
A novant’anni Alain Resnais non demorde, e il regista di Parole, Parole, Parole, dal 1948, continua  restituirci il suo sguardo rocambolesco in una sceneggiatura di incredibile fascino e originalità. Tratto dal romanzo L’Incident di Christian Gailly, Gli amori folli si presenta subito come un film puro, dove la meraviglia e l’incanto di una storia non lineare restituiscono suoni e visioni andati persi nelle convenzioni narrative ed estetiche hollywoodiane. Alain Resnais dà fondo a tutta la sua conoscenza cinematografica per creare una pellicola dove i vari riferimenti alla cultura filmica vengono mescolati in un calderone pieno di follia e vitalità.
Il film sembra un brano improvvisato, e come nella musica jazz ci sono variazioni inattese senza seguire uno standard compositivo: così ha fatto Alain Resnais, il quale ha espresso in pieno la sua volontà di trasporre questa sensazione di musicalità nella pellicola, e che nel libro era già accentuata. I due protagonisti, infatti, sembrano essere mossi da pensieri e motivazioni che vanno al di là della comprensione, e si è spiazzati di fronte a determinate azioni e a flussi di coscienza che prendono vita in piccole finestre sovrimpresse sull’immagine, come per dar voce e visione dei propri pensieri.
L’irrazionale regna sovrano nel film, come se l’intenzione del regista fosse quella di rappresentare proprio l’irrappresentabile sotto la luce di quanto provano i due protagonisti: un irrefrenabile ricerca dell’amore e il desiderio di amare una figura ideale, e sono i dialoghi a giocare un ruolo fondamentale nell’esprimere questa irrefrenabile ricerca. Tanto divertenti quanto inverosimili, sfiorano il nonsense più puro ma proprio per questa peculiarità e l’assenza di una logicità comprensibile il film potrebbe risultare ostico agli occhi di molti, che forse ricercano una pellicola dove l’amore sia dettata sotto leggi ferree al quale il cinema classico ci ha abituato, ossia quell’amore realistico e ostacolato da contrasti drammatici (o anche comici).
Gli amori folli è ribellione, è comicità francese, forse troppo lontana da noi, forse troppo elitaria, ma Alain Resnais ci regala l’ultima gemma del suo vastissimo repertorio, tanto contemporaneo quanto rivoluzionario nel campo cinematografico.

Riccardo Rudi

Codice Genesi

23 febbraio 2010

Recensione
titolo originale: The Book of Eli
regia: Albert Hughes, Allen Hughes
cast: Denzel Washington, Gary Oldman, Mila Kunis, Ray Stevenson, Jennifer Beals, Michael Gambon
genere: Azione, Drammatico
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: 01 Distribution
uscita: 26/02/2010
7

«Un giorno ho sentito una voce, sembrava venisse da dentro di me. Mi ha guidato in un luogo. Ho trovato questo libro, sepolto tra le macerie. E la voce mi ha detto di portarlo a ovest».
In queste semplici righe possiamo riassumere la “missione” (è proprio il caso di usare questo termine) di Eli: enigmatico guerriero solitario, impegnato in un incarico importante, che lo vedrà combattere e difendere strenuamente un libro destinato a salvare il mondo.
La storia, condita con quel pizzico di azione ed avventura che non guasta mai (produce, tra gli altri, quel Joel Silver cui si devono alcuni tra i film d’azione più memorabili di Hollywood come Matrix, Arma letale, Die hard e Predator) ha una collocazione temporale ben definita. Il film, infatti, ci conduce in un futuro che ha subito guerra, disastri nucleari e naturali (o qualsiasi altra combinazione di eventi). Una devastazione totale che già le sequenze di apertura ci offrono mostrandoci la terribile situazione del mondo, dove il protagonista passa davanti ai vari cadaveri abbandonati lungo le strade.
A raccontare la vicenda, che ipotizza un nuovo mondo in una situazione di vita primordiale, priva di qualunque regola comportamentale e dominata da un’anarchia generale, ci pensano i fratelli gemelli Hughes i quali, imprimendo come sempre il loro particolare stile visivo (ricordate La vera storia di Jack lo squartatore?), riescono a ricreare quell’esistenza primitiva in un prossimo (lontano, si spera) futuro, dipingendo il pianeta post-calamità nella sua desolazione ed asprezza, drammaticità e realisticità.
E ci riescono molto bene grazie ad una fotografia che ricrea quell’atmosfera fragile dove il cielo si muove più velocemente del normale, le nuvole hanno un percorso in senso contrario all’avanzare del protagonista, la foresta è arida e senza foglie e gli alberi ormai tutti morti.
Nel suo incessante peregrinare il nostro uomo (il Premio Oscar Denzel Washington, qui anche in veste di produttore) dovrà vedersela con il cattivo di turno (torna l’eterna lotta tra il bene e il male) incarnato sullo schermo da Carnagie (Gary Oldman), superstite del passato, che ha dedicato gli ultimi anni della sua vita a crearsi un impero tra le rovine di una città abbandonata e costruita con la violenza e il controllo dell’acqua.
D’accordo entrambi sul potere delle parole del libro, i due hanno un’opinione diametralmente opposta su come quel potere debba essere usato: per Eli sarà la base di una nuova società giusta, l’occasione per ricominciare evitando gli errori del passato; per Carnagie un mezzo per controllare la gente ed espandere il suo dominio.
In un periodo dove si è preda oppure cacciatore, Eli farà di tutto per portare a compimento la sua missione, affrontando ogni giorno un nuovo pericolo e fronteggiando quelle forze che vorrebbero trascinare lui e quel residuo di comunità in un abisso sempre più profondo.
Scene di lotta di strada, uso di armi, coltelli, spade, bastoni e una lama speciale che sembra l’estensione di un braccio. Il risultato finale è un insieme di diversi stili di arti marziali e di combattimenti a mani nude; un riuscito mix tra ambientazioni western e atmosfere apocalittiche (la mente non può non andare ai grandi precursori quali Mad Max, Waterworld, Ken il guerriero); anche se qui, più che dipingere un’ipotetica civiltà da non augurarsi, il film vuole concentrarsi maggiormente sul tema dell’impegno, del sacrificio e della sopravvivenza da parte di un ristretto gruppo di scampati.
«Ora la gente si uccide per cose che prima buttavamo via», si sente dire a un certo punto del film.
Toccando temi universali come la fede, il destino, il sacrificio e la speranza, chissà che questa pellicola non ci faccia uscire dalla sala apprezzando non solo qualche rimasuglio di civiltà passata (un grammofono a molla e le tazze di porcellana per il tè) ma anche la vita che stiamo conducendo nel presente.

Ravasio Piergiorgio