RECENSIONE
titolo originale: The Final Destination 3D
regia: David R. Ellis
cast: Bobby Campo, Shantel VanSanten, Haley Webb, Nick Zano
genere: Horror
paese: USA
anno: 2010
distribuzione: Warner Bros.
uscita: 21/05/2010
Nick, durante una giornata di svago insieme ai suoi amici all’autodromo, ha una visione di un terribile incidente che causa numerose vittime: alcune macchine da corsa vengono coinvolte in un incidente che si estende sino ai palchi causando morti orribili. Preso dal panico Nick convince i suoi amici ad andarsene, e proprio alcuni attimi dopo, la sua visione si avvera. Grazie alla premomizione, Nick, i suoi amici e alcuni sopravvissuti sono scampati alla morte, o almeno così sembra: a quanto pare, infatti, la morte ha altri piani per i superstiti dell’incidente, e quando Nick e la sua fidanzata Lori capiscono il pericolo che corrono tutti loro, è già troppo tardi.
Questo nuovo Final Destination sembra avvalersi di un’estetica diversa rispetto ai suoi tre predecessori, o almeno così ci voglio far credere i produttori e il regista David Ellis, che con il 3D promettono un coinvolgimento e una tensione incredibile. Ovviamente, chi conosce la serie sa che non si deve aspettare chissà quale storia interessante e piena di colpi di scena, ma una pellicola mediocre e che non pretende di essere un horror movie degno di stare nell’hit parade dell’autorialità.
Al di là dell’effetto ottico del 3D, il franchise di Final Destination rimane lo stesso, con i suoi stereotipi e i suoi cliché, con la sua sceneggiatura banale e la sua storia ridicola. Ci si trova davanti a uno splatter dove un gruppo di ragazzi del college, privi di carattere, bellocci ed estremamente coriacei a morire, affrontano senza la minima speranza un destino spietato.
Come gli altri Final Destination, anche questo riserva una dose di divertimento che nel bene o nel male riesce a strappare un sorriso per le assurdità delle morti. Di fronte a sequenze in cui la morte inizia a manifestarsi con il solito vento spiacevole che muove oggetti pericolosi, e in cui un macchinoso succedersi di coincidenze si trasformano in una trappola mortale, la tensione è assicurata, soprattutto perché ci si aspetta un evento che infastidirà i nostri sensi: ad esempio la scena in un cui una delle superstiti dell’autodromo sta facendo la pedicure, e la macchina da presa si sofferma con un dettaglio quasi maniacale sulle unghie della donna che vengono pulite con uno strumento metallico e affilato, che stuzzica i sensi dello spettatore, mentre intorno a lei iniziano a delinearsi una pericolosa serie di eventi preannunciano un disgustoso finale.
Al di là della superficialità della sceneggiatura, dell’incredibile povertà narrativa e di innovazione rispetto ai titoli precedenti, Final Destination rimane un titolo godibile proprio per queste caratteristiche. Un’altra nota di merito è la lunghezza della pellicola, che non sfiora nemmeno i 90 minuti.
Riccardo Rudi