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Drive

26 settembre 2011

RECENSIONE
regia: Nicolas Winding Refn
cast: Ryan Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston, Ron Perlman, Albert Brooks, Oscar Isaac, Christina Hendricks
genere: Drammatico
paese: USA
anno: 2011
durata: 104′
distribuzione: 01 Distribution
uscita: 30/09/2011
voto: 7

In una Los Angeles cupa e disperata, la quotidianità di un giovane meccanico si divide tra l’attività di stunt cinematografico e lavoretti come autista per la malavita. Fino all’incontro con Irene, vicina di casa malamente sposata e con figlioletto a carico, che imprimerà all’esistenza dell’uomo una svolta dolente ma necessaria.
Ci voleva il Festival di Cannes per suggellare una delle carriere cinematografiche più promettenti, quella di Nicolas Winding Refn, che dopo lavori come la trilogia di Pusher e lo straordinario Bronson, è riuscito a conquistare la Croisette con una meritatissima Palma per la miglior regia. Approdato a Hollywood con una sceneggiatura (di Hossein Haimi) tratta dal best-seller pulp di James Sallis, il regista danese piega il genere alla propria, pienamente consolidata poetica, mettendo in scena con Drive un noir metropolitano nel quale i topoi del filone implodono in un approccio dilatato e assorto.
Se il materiale alla base del plot non è tra i più originali, così come l’atmosfera dal gusto anni ’80 (evidente, nell’impronta, l’influenza di autori come Friedkin e Walter Hill), a Refn spetta il merito di rovesciare l’immaginario di riferimento, facendo del contrasto tra quella pulsione alla velocità e all’accelerazione sottesa ai motori (fulcro della vita del protagonista) e l’immobilità di volti, emozioni e situazioni, strumento di decostruzione simbolica e narrativa.
Così, mentre l’azione tout-court abdica a un susseguirsi di silenzi e attese, la concitazione adrenalinica cede il posto ad un’osservazione introspettiva, condotta attraverso i primi piani, i ralenti, le lunghe e riflessive sequenze di un approccio frontale e quasi de-drammatizzato, nel quale i silenzi e le attese tirano i capi dell’intreccio in una morsa di tensione emotiva destinata a spezzarsi dietro inaspettati scoppi di efferata e straniante violenza. Uno scenario asettico e desolato, nel quale Ryan Gosling si muove con efficace impassibilità – un po’ angelo custode, un po’ samurai – ponendosi in testa a un cast selezionato con acume (notevoli le presenze di Albert Brooks, icona del cinema indie statunitense; del potente caratterista Ron Perlman e dell’ottimo Bryan Cranston, star della serie Breaking Bad) e aggiungendosi, con dedizione disperata e vocazione autodistruttiva alla missione, alla già indimenticabile galleria di personaggi refniani.

Caterina Gangemi